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fusa con degli insipidi madrigali, con delle massime triviali, dove si ravvisa, è vero, sempre lo sforzo, la fatica, e talora lo spinto, ma non mai il discernimento. Eppure questo solo è quello che fa la buona Commedia o la buona Tragedia, più che lo spirito, ed io paragonerei ciò al Generale e al Soldato, il primo è fatto per concepire, combinare, prevedere & ordinare; il secondo poi per operare ed eseguire. Il buon Generale concepisce bene, il buon Soldato eseguisce meglio. Ecco il discernimento, e lo spirito.

Sentirete forse spacciar per tutto, e leggerete ancora in alcuni moderni abbozzi un sistema che vi sorprenderà. Pretendesi che Moliere e i suoi successori abbiano tutto messo in opra, e che i difetti e le debolezze degli uomini siano le medesime, ma bensì i gusti sieno cambiati, e che finalmente non si sappia più ridere. Non lo crederete, e avrete ragione. E ciò che avete fatto vi convincerà di ciò che dovrete fare. Non è la natura un fonte inessiccabile per noi, come per voi? Quello che ci muove così difficilmente il riso, si è perchè tentano farci ridere con si poca grazia, che in effetto noi non ridiamo più, o almeno non conosciamo più quella specie di riso, che viene dal frizzo nobile e spiritoso, ed è proprio degl'uomini di giudizio. E quello che fa credere il nostro gusto cambiato, è la variazione non già de' difetti, perchè il cuore umano è sempre il medesimo, ma delle nostre debolezze che hanno differente colore da quello aveano il secolo passato, e che per più d’un riguardo non sono assolutamente le stesse. Ecco perchè molte buone Commedie antiche non hanno più per noi il medesimo sapore, e non vi ridiamo più di cuore: anzi si potrebbe dare il caso che non fossero accolte neppure al presente, benchè si mettessero in scena per la prima volta. L’antica loro riputazione le sostiene, l’assuefazione d’andarvi ci guida, e una ridicola vergogna ci vieta di darne giudizio.

S’eviterebbe come un bestemmiatore quello che ardisse parlar con freddezza d'una Commedia celebre, il cui brillante successo mantenuto dalla tradizione è divenuto una legge irrevocabile. Non credo per questo che molti ne siano internamente persuasi. In un secolo dove lo spirito filosofico abbraccia tutto, e nel quale si ama tanto a cercare il fisico delle cose, si deve conoscere che quella Commedia celebre, che una volta con ragione divertiva, deve di necessità essere al presente insipida, perchè ci presenta degli obbietti che noi più non ravvisiamo, e che fuori della Scena non si veggono in niuna parte. Vi ha, se posso servirmi di tale espressione, una specie di moda nelle cose ridicole, che varia secondo i tempi, e che un buon Pittore deve sempre seguire per fare un quadro perfetto. Richiederebbe questa materia d’essere meglio sviluppata, e mi arrischierei a farlo, se questa Lettera non fosse già abbastanza lunga per impinguarla di più con que’ particolari indispensabili, che esigerebbono le prove e gli esempj che bisognerebbe produrvi.

M’esibisco bensì, ammaestrandomi con voi ne’ nostri privati trattenimenti, di farvi parte delle mie riflessioni su questo punto. Ma credo dovervi qui prevenire sopra un secondo sistema più barbaro che il primo, e che il caso potrebbe mettervi sotto agli occhi. Vengo assicurato, essere stato impresso, non so dove, che la Commedia era stata talmente disseccata, che non avea più donde cavare fuorchè dal fiele e dalla satira. Non crediate, vi supplico, per la riputazione de’ miei Concittadini, che adottino questo principio. Vien detestato, e riguardato come una prova evidente di man-