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elmi, e turbanti, che loro nascondono la fronte, perchè allora l’Arte loro non può interamente svilupparsi, essendo loro necessaria la parte enche più minima della faccia a ben esprimere ciocché sentono. Non vi ha Commedia alcuna, per ridicola che sia, che non si trovi suscettibile delle Passioni stesse della Tragedia, se ne eccettuiamo qualche piccol divario: ma senza far parola della gioia, del timore, del dolore e del piacere, della collera, e di tutti gli altri sentimenti, che appartengono ugualmente all’anima che al volto, io qui non parlo che degli effetti, che unicamente dipendono dalla faccia, come l’arrossire, l’impallidire, ecc. si può questo ravvisare sotto la Maschera? Non si ride sempre forse con una sghignazzata ironica e disprezzante, quando si sente che Arlecchino deve arrossire, o impallidire? L’impossibilità evidente di conoscerlo toglie immediatamente l’interesse, e tolto via l’interesse, qual piacere resta alle persone ragionevoli? So benissimo che bisogna si faccia lo Spettatore più d’una volta una falsa imagine di molte cose, ma bisogna almeno che a fianco dell’errore vi sia un poco di verità, e che l’illusione non divenga acciecamento. Ora a qual grado non si divien cieco per considerare Arlecchino con la sua orrenda maschera quasi una giovine e vaga Principessa, come bisogna supporlo in alcune Commedie Italiane?

Una delle contradizioni più grandi dello spirito umano, è senza dubbio la disposizion differente, nella qual ci troviamo alle due Commedie di Parigi. Ci presentiamo alle italiane con un altro gusto, altri occhi, e quasi con un altra anima che alle Francesi. Si direbbe esservi un talismano alle porte de’ due Teatri, il quale nel momento che vi posiamo il piede ci trasforma e ci cambia, senza che possiamo avvedercene. Si applaudisce nell'uno ciò che si accoglierebbe con le fischiate nell’altro. E tutta la naturalezza, tutta l’Arte, tutto lo scherzo e piacevolezze del Preville e del Dangeville, non ci renderebbono in minima parte tollerabile, ciò che i Carlini e le Camille ci fanno provare di gustoso. Nè bisogna, come credo, cercar le ragioni di questa contradizione, se non che nella assuefazione, e vi è ben noto, che riguardo a ciò lo spirito e più difficile a risanare che il corpo. E qualche tempo che ho riconosciuto in Arlecchino, in Pantalone, e in tutti quelli che formano a Parigi la Scena Italiana non solamente ciò che chiamasi buon Arlecchino e buon Pantalone, ma eccellenti Comici, e Attori pieni di spirito e di talento. Non mi sdegno pertanto con i Comici Italiani sulla decadenza della Italiana Commedia; gli credo per lo contrario moltissimo al caso di secondare le viste di una abile Riformatore che intraprendesse di trarci fuori dall’oscurità e da’ trattenimenti puerili: ma mi sdegno col nostro gusto che sono obbligati di compiacere, e col costume che sono tenuti di seguire.

Avrete voi adunque a combattere i progressi dell'assuefazione e del pregiudizio per farci conoscere il prezzo delle vostre Commedie Italiane, che non s’accostano che nell’Idioma a quelle che qui si recitano d’ordinario; è ben vero che dovrete appagare e gli spettatori, e gli Attori, che assuefatti a non aver parti scritte nelle Commedie Italiane, e in conseguenza a non imparare a mente, saranno essi ancora obbligati ad una fatica insolita, e non avranno sul principio nel presentarsi quella facilità e quella naturalezza, che fanno dimenticare l'Autore e l’Attore, per non lasciar vedere che il Comico Personaggio. Credo però che vi sia un sol mezzo per voi a superare tutti questi ostacoli,