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L'AMORE PATERNO | 293 |
Camilla. Già me ne sono accorta, che è innamorato di me, ma è impossibile ch’io faccia un torto ad Arlecchino. L’amo teneramente. Ho promesso sposarlo, e non mancherei per tutto l’oro del mondo.
Scapino. Siete servita dei candelieri. Li ho da mettere sulla spinetta?
Camilla. Sì, sulla spinetta.
Scapino. Oh, quanto pagherei di saper cantare! (mette i candelieri)
Camilla. Mi vorreste voi cantar qualche arietta?
Scapino. Vorrei dirvi in musica quello che non ho coraggio di dirvi parlando. La poesia e la musica inspirano una certa libertà, che comoda infinitamente.
Camilla. Volete che mettiamo le sedie?
Scapino. Le metterò io. (Come cambia presto il discorso!)
Camilla. Le porteremo in due, metà per uno.
Scapino. Oh Camilla mia, se voleste, voi mi potreste rendere l’uomo più felice del mondo. (portando una sedia)
Camilla. In verità, voi mi fate ridere. (portando una sedia)
Scapino. Ma il fortunato è Arlecchino. (come sopra)
Camilla. Ma via, caro Scapino. Lasciatelo stare il povero Arlecchino; voi sempre lo perseguitate. (come sopra)
Scapino. Il povero Arlecchino! (mette la sedia con dispetto)
Camilla. Non fate così, abbiate carità di quelle povere sedie.
Scapino. Sì, la carità per le sedie, e per me non vi ha da essere carità. (porta un’altra sedia)
Camilla. Io non so di che vi possiate dolere.
Scapino. Corpo di bacco! perchè tutto l’amore per Arlecchino, e niente per me?
Camilla. In quanto a questo poi, scusatemi, vi dirò ch’io sono padrona d’amar chi voglio.
Scapino. Sì, amatelo quel bel soggetto. Veramente lo merita. (mette l’ultima sedia rabbiosamente)
Camilla. Ma che maniera è questa? Se non volete incomodarvi, lasciate stare, ma non istrapazzate così la mia roba.
Scapino. Non mi so dar pace a vedere che una giovine come voi, preferisca uno scimiotto come colui.