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286 ATTO PRIMO


Pantalone. (Col diavolo che te porta).

Arlecchino. Sì, sì, col cocchio se va più comodi, e se spende manco. Vado subito a servirla. Vado a fermar i posti nel cocchio.

Pantalone. Mo no ve digo, no v’incomodè.

Arlecchino. Sì assolutamente. Voggio aver l’onor de servirla. Vado e torno subito per servirirla. (parte)

SCENA VIII.

Pantalone, poi Angelica.

Pantalone. No gh’è remedio. Sta bestia no me vol, e se Camilla ghe vol ben, ho paura che la sarà obligada de licenziarne. Ma se anca dovesse restar, come mai xe possibile de poder soffrir l’impertinenza de sto omo indiscreto, de sto villan? Vardè, sul momento che giera per consolarme con un sonetto della mia cara fia, el vien a tormentarme, e el me priva dell’unico mio piacer. No gh’è remedio, no se pol resister, bisogna andar. Pazenzia, son nato desfortunà. Ho da penar sempre, ho sempre da sospirar.

Angelica. Signor padre.

Pantalone. Fia mia.

Angelica. Vengo a dirvi una cosa che vi farà piacere.

Pantalone. Sì, consoleme, che ghe n’ho bisogno.

Angelica. Ho terminato in questo punto di porre in musica la cantata.

Pantalone. La cantata che ha composto Clarice?

Angelica. Sì signore, ho messo in musica le parole di mia sorella.

Pantalone. Oh brava! quando la sentiremo?

Angelica. Quando volete.

Pantalone. Aspettemo che ghe sia della zente. Verso mezzozorno vegnirà i nostri amici. Ti canterà, ti te farà onor. Me imbalsemerò mi. Ti imbalsemerà tutti quanti.

Angelica. Ma io, signore, l’ho fatta per mio studio, per mio divertimento, e non ho merito, nè abilità per piacere.