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Camilla. Se è lecito, signore, dove pensate voi di voler andare?

Pantalone. No so gnanca mi.

Camilla. Come! non lo sapete? Dite di voler partire, e non sapete ancor dove andare?

Pantalone. No so gnente, anderò dove che la sorte me porterà.

Camilla. E le vostre figlie?

Pantalone. Le sarà a parte del mio destin. Miserabili, ma onorate.

Camilla. Se andate in un albergo, vi costerà molto.

Pantalone. Nè mi sarave in caso de mantegnirme.

Camilla. Volete andare in casa di qualche amico?

Pantalone. Un omo d’onor no conduse in casa de nissun le so fiole.

Camilla. Ma cosa dunque destinate di fare?

Pantalone. Andar via de Parigi.

Camilla. Dove?

Pantalone. No so gnanca mi.

Camilla. Avete voi danari per far il viaggio?

Pantalone. No, fia mia. Ho scritto a Venezia, perchè i venda quel poco che me xe resta. Ma ghe vorrà dei mesi, e adesso savè in che stato che son.

Camilla. Oh cieli! E come dite voi di voler partire?

Pantalone. La providenza no abbandona nissun. Venderò quei pochi mobili che me resta, venderò i abiti delle mie povere fie, venderò i libri della mia cara Clarice. Venderò la musica della mia cara Angelica. Oh dio! che pena che le proverà, poverette, a privarse delle cosse più care che le gh’ha a sto mondo. Ma non importa, che se venda tutto, che se sacrifica tutto, ma che se salva el decoro, l’onestà, la reputazion.

Camilla. (Mi move sempre più a compassione. Non ho cuore d’abbandonarlo).

Pantalone. Camilla, a revéderse, el cielo ve benedissa.

Camilla. No, signor Pantalone, fermatevi. Non voglio assolutamente che voi partiate da questa casa.

Pantalone. No, fia mia, ve ringrazio. Xe giusto che vada, e bisogna andar.