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276 ATTO PRIMO

Arlecchino. Colù l’è torna a Parigi per farme precipitar.

Scapino. Colui! Cos’è questo colui? Se non fosse qui questa giovane...

Arlecchino. Falo andar via de qua. Falo andar via, se no ti vol veder un precipizio.

Camilla. Caro Scapino, fatemi il piacere...

Arlecchino. (Caro Scapino? Ho paura... Ma no vôi dar da conosser la mia zelosia).

Camilla. Andate, vi dico, andate, non mi obbligate a dirvelo un’altra volta. (a Scapino)

Scapino. Ma sentite la mia ragione.

Camilla. Non voglio sentire altre ragioni, andate.

Arlecchino. Va via de qua, che sarà megio per ti.

Scapino. In quanto a voi, me ne rido. Partirò per il rispetto che ho per Camilla. Ella è la padrona di questa casa, e la civiltà vuole ch’io l’obbedisca. (Egli è ch’io ne sono innamorato, e mi lusingo ancora di guadagnarla).

Camilla. Via dunque, andate, che mi farete piacere.

Scapino. Signora sì, vado, non v’inquietate. (Chi mai avrebbe creduto, che una giovane come questa s’invaghisse a tal segno di un uomo Così villano, come è Arlecchino?) (parte)

SCENA III.

Camilla ed Arlecchino.

Camilla. E bene, il mio caro Arlecchino, si può sapere per qual ragione siete in collera con Scapino?

Arlecchino. Mi no son in collera con Scapin; ma son in collera con ti.

Camilla. Con me? Per qual ragione? Cosa vi ho fatto?

Arlecchino. Perchè ricever in casa tanta canaia, e darghe da magnar e da bever, e consumar el nostro miseramente?

Camilla. Io l’ho fatto per compassione. Il povero signor Pantalone si trova qui senza amici, senza danari; aveva io da lasciar perire lui e la sua famiglia?