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274 ATTO PRIMO


Arlecchino. Pantalon è vegnù qua con do fiole? So fradelo è morto, e el vien qua con do fiole?

Scapino. A Lione solamente abbiamo saputo la morte del signor Stefanello. Il signor Pantalone ha pensato bene di proseguire il viaggio e di venire a Parigi, sperando di ereditare i beni di suo fratello; ma il povero galantuomo ha qui scoperto che per le leggi del Regno non può ereditar cosa alcuna, e si trova nelle maggiori angustie del mondo. In Venezia non è mai stato ricco; viveva, si può dire, dei soccorsi di suo fratello, e tutto spendeva per educare le sue figliuole, le quali, per dire la verità, sono riuscite due maraviglie, una bravissima nelle scienze, e l’altra eccellente nella musica. Credeva di far un gran regalo a suo fratello, conducendogli quelle due gioje, ma il fratello è morto, ed il pover’uomo non sa a qual partito appigliarsi.

Arlecchino. Niente. Cossa gh’alo paura? Non alo con lu do zoggie? A Parigi no manca i dilettanti de sta sorte de zoggie, el farà un bon negozio, el troverà da metterle in qualche bon gabinetto.

Scapino. Capisco quel che volete dire, ma il signor Pantalone è delicatissimo in materia d’onore; e le sue figliuole sono l’esempio della saviezza e della modestia.

Arlecchino. Ho inteso. Zoggie morte, diamanti senza spirito; co no i è brillanti, no i gh’ha credito, no i fa fortuna. Mi conseggierave el sior Pantalon a tornar a portar la so marcanzia in Italia. La virtù è bella e bona, ma la virtù in miseria l’è giusto come un diamante nel fango.

Scapino. Io credo che a quest’ora il signor Pantalone sarebbe partito, se Camilla a forza di buone grazie non lo trattenesse qui in casa sua.

Arlecchino. Come! sior Pantalon xe in sta casa?

Scapino. Sì certo. Oggi è un mese che siamo qui. Stupisco che non lo sappiate.

Arlecchino. No so gnente. Son sta quaranta zorni in campagna a far el vin, a far taggiar delle legne. Sangue de mi! e Camilla no me l’ha scritto?