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L'OSTERIA DELLA POSTA | 259 |
una sposa tenera e rispettata. Compatite le mie apprensioni, scusate la soverchia delicatezza del modo mio di pensare. Assicuratevi che mi siete caro, che vi amerò sempre, e che il cielo mi ha destinata per voi.
Marchese. Ah, se tutto è vero quel che voi dite, io sono il più felice di questa terra.
Conte. Amico, voi avete avuto campo di conoscere il carattere di mia figliuola. Ella non è capace di mentire, e di tradir se medesima per un capriccio.
Tenente. Beato il mondo, se di tai donne sincere se ne trovasse non dirò in gran copia, ma almeno il quattro o il cinque per cento.
Conte. Andiamo, signor Marchese, se vi contentate, andiamo tutti a Milano. Colà, secondo il nostro primo concerto, si concluderanno le nozze.
Marchese. Andiamo pure, se così piace alla mia adorabile Contessina.
Contessa. Guidatemi pure dove vi aggrada. Son col mio caro padre, son col mio caro sposo, non posso essere più contenta.
Tenente. Sì, andiamo, signori: ma con loro buona licenza, diamo prima una buona mangiata, e facciamo onore al prezioso vino di Monferrato.
Barone. Confesso che io non merito il piacere di essere della partita, ma vi prego di credermi vostro amico, e assai pentito d’avervi dato qualche motivo di dispiacere. Assicuratevi, signor Marchese...
Marchese. Non più, signore; accetto per vere le vostre giustificazioni, e per disingannar la mia sposa ch’io sia soverchiamente collerico, o pazzamente geloso, vi supplico di restar a pranzo con noi, e di favorirci nel viaggio. Oh viaggio per me felice! Oh fortunata Osteria della Posta! Fortunatissima sempre più, s’ella fia degna della grazia e del compatimento di chi ci ascolta.
Fine della Commedia.