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L'OSTERIA DELLA POSTA 255


premendomi tanto la pace mia, quanto l’onor vostro e la vostra tranquillità.

Conte. Sì figlia, tu pensi assai rettamente, e mi lusingo che il cielo ti farà esser contenta.

Barone. Qualunque sia la scena che dee succedere, verrò a Torino per esserne anch’io spettatore.

Conte. Voi non ardirete di farlo.

Barone. Né voi avete autorità bastante per impedirmelo.

Conte. I pazzi si castigano da per tutto.

Barone. Pazzo a me? Provvedetevi della vostra spada.

Contessa. Qual ardire è codesto?...

SCENA XI.

Il Tenente e detti.

Tenente. Alto, alto, signori miei. Non procedete più oltre colle minacce. Sono stato finora testimonio delle vostre contese. Or che vi sento prossimi ad un cimento, son qua io ad interessarmi per la pace comune.

Conte. Signore, io non ho l’onor di conoscervi.

Tenente. Sono un uffiziale di Sua Maestà: il tenente Malpresti per obbedirvi.

Contessa. Siete voi il compagno da viaggio del capitano?

Tenente. Sì, signora, del capitano. (ridendo)

Conte. Come conosci tu questo capitano? (alla Contessa)

Contessa. Signore, l’ho qui veduto, ho seco lui favellato. È grande amico del marchese Leonardo. Mi ha ragionato di lui lungamente, mi ha detto dell’amico suo qualche parte di bene, ma per dirvi la verità, non ne sono intieramente contenta.

Tenente. Non badate, signora, a ciò che vi ha detto il compagno mio. Egli è assai capriccioso, ama moltissimo il marchese Leonardo, l’ama quanto se stesso, e come non ardirebbe di esaltar se medesimo, usa la stessa moderazione parlando del caro amico. Badate a me, che lo conosco egualmente, ma non ho i suoi stessi