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L'OSTERIA DELLA POSTA 247

SCENA V.

Il Marchese solo.

Oh cieli! in qual orribile confusione mi trovo! Bello è il carattere della Contessa, poichè è fondato sulla base della più pura sincerità. Ma io mi veggio sul punto di essere da lei ricusato, e dopo averla veduta, e dopo la scoperta fatta del di lei talento e del di lei cuore, la perdita mi sarebbe più dolorosa. Ha detto liberamente, che s’io fossi quel tale, non ne sarebbe contenta. Vero è che mostrò di dirlo, causa di un mio innocente trasporto, ma potrebbe con ciò aver colorita una maggiore avversione. Che fo io dunque? Mi scopro ad essa qual sono, o torno a Torino senza più rivederla? Ah, non so che risolvere. Ecco l’amico, chiederei ad esso consiglio, ma non mi fido intieramente della sua prudenza.

SCENA VI.

Il Tenente ed il suddetto.

Tenente. Amico, noi avremo un sontuoso pranzo. Vi è di grasso e di magro, e il vino di Monferrato è eccellente. Di più avremo un altro compagno a tavola. Un cavaliere mio amico, arrivato qui per la posta in questo momento. Parla con l’oste non so di che, e or ora sarà qui con noi.

Marchese. E chi è questo forestiere?

Tenente. Il baron Talismani.

Marchese. Come! il baron Talismani? (con ammirazione)

Tenente. Lo conoscete anche voi?

Marchese. Non l’ho mai veduto, ma so chi egli è.

Tenente. Io vi assicuro, ch’è un galantuomo.

Marchese. Sì, ne son persuaso. Gli avete voi detto, che siete meco? Mi avete a lui nominato?

Tenente. Non ho avuto tempo di farlo.

Marchese. Manco male. Avvertite a non dire ad esso chi sono.