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L'OSTERIA DELLA POSTA | 237 |
Tenente. Vedete, se questi signori vogliono mangiare con noi.
Cameriere. Il Cavaliere è sul letto che dorme. Quando sarà all’ordine il pranzo, glielo dirò.
Marchese. Sollecitatevi.
Cameriere. Subito. (in atto di partire)
Tenente. Avete buon vino?
Cameriere. Se vuole del Monferrato, ne ho di prezioso.
Tenente. Sì, sì, beveremo del Monferrato.
Cameriere. Sarà servita. (parte)
SCENA II.
Il Marchese e il Tenente.
Tenente. Allegri, Marchese. Voi che andate incontro alle nozze, dovreste essere più gioviale.
Marchese. Dovrei esserlo veramente, ma mi tiene un poco in pensiere il non avere ancor veduta la sposa. Mi dicono che sia bella passabilmente, che sia gentile ed amabile, pure ho un’estrema curiosità di vederla.
Tenente. Come vi siete indotto ad obbligarvi di sposare una giovane, senza prima vederla?
Marchese. Il conte Roberto di lei padre è un cavaliere di antica nobiltà, molto comodo, e non ha altri che quest’unica figlia. Egli ha molte parentele in Torino, ha una sorella alla Corte, ha degli effetti in Piemonte, i miei amici hanno pensato di farmi un bene, trattando per me quest’accasamento, ed io vi ho aderito, trovandovi le mie convenienze.
Tenente. E se non vi piacesse?
Marchese. Pazienza. Sono in impegno, tant’è tanto la sposerei.
Tenente. Va benissimo. Il matrimonio non è che un contratto. Se c’entra l’amore, è una cosa di più.
Marchese. Ma vorrei che c’entrasse.
Tenente. Sì, ma per il vostro meglio non vorrei che l’amaste tanto. Conosco il vostro temperamento. Ne’ vostri amori solete