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236 | ATTO SOLO |
Cameriere. È occupata, signore.
Tenente. È occupata? Chi c’è dentro?
Cameriere. Un cavaliere milanese con una dama, che dicono sia sua figliuola.
Tenente. È bella?
Cameriere. Non c’è male.
Tenente. Da dove vengono?
Cameriere. Da Milano.
Tenente. Dove vanno?
Cameriere. Non glielo so dire.
Tenente. Ed a far che si trattengono qui in Vercelli?
Cameriere. Sono arrivati qui per la posta. Riposano; hanno ordinato il pranzo, e passate che saranno le ore più calde, proseguiranno il viaggio.
Tenente. Bene; se si contentano, noi pranzeremo insieme.
Marchese. No, caro amico, spicciamoci. Prendiamo un po’ di rinfresco e seguitiamo la nostra strada.
Tenente. Caro Marchese, io sono partito con voi da Torino1 per compiacervi, vi faccio compagnia assai volentieri; ma viaggiare a quest’ora, con questo sole e con questa polvere, non mi comoda molto.
Marchese. Un militare si lascia far paura dalla polvere e dal calore del sole?
Tenente. Se io fossi obbligato a farlo per i doveri del mio mestiere, lo farei francamente, ma quando si può, la natura insegna ad isfuggire gl’incomodi. Vi compatisco, se vi sollecita il desiderio di vedere la vostra sposa; ma abbiate ancora un poco di carità per l’amico.
Marchese. Sì, sì, ho capito. L’occasione di pranzare con una giovane vi fa temere il caldo e la polvere.
Tenente. Eh corbellerie! Quattr’ore prima, quattr’ore dopo, domani noi saremo a Milano. Cameriere, preparateci da mangiare.
Cameriere. Sarà servita.
- ↑ Nell’ed. Pitteri si trova stampato, qui e più avanti, Turino.