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del carnevale 1762 nel teatro di S. Luca: Mi scordarme de sto paese? ecc. (G. Ortolani, Della vita e dell’arte di C. G., Venezia, 1907, p. 120). Il Goldoni non poteva lasciare il suo teatro, la sua patria, come uno qualunque. Egli doveva salutare i suoi amici, le persone care, e queste comprendevano l’intera città; perchè in un simile momento, per chi si chiama Carlo Goldoni, non ci sono più rivali, avversari, nemici; a chiunque parla el lenguazo veneziano Carlo Goldoni getta le braccia al collo, con le lacrime agli occhi. Tutto ciò che egli sente nel cuore, lo dice a tutto il pubblico; e riesce a trasfondere nella commedia la propria commozione. Chi ascolta, chi legge, sente e pensa una sola cosa, dalle prime scene alle ultime: Goldoni parte, va via.

Se noi giudichiamo la commedia con criteri puramente estetici, ne scorgiamo facilmente i difetti, che ci impediscono di riporla fra i capolavori goldoniani, benchè si regga ancora sul palcoscenico italiano, contro la speranza stessa dell’autore. «La Commedia» dice nella prefazione scritta molti anni dopo in Francia, «non potea passare che in quella tale occasione, e credo, dopo quel tempo, non sia più stata rappresentata». Ma egli stesso vi trovava delle cose che «anche senza l’allegoria possono recare qualche diletto»; e i caratteri gli parevano «veri, semplici, e piacevoli, indipendentemente dal fondo della Commedia». Ci sembra questo, dopo tanto tempo, un giudizio del tutto equo. Solo manca ai personaggi il rilievo necessario a farne delle figure propriamente originali e vive: il loro volto appare e scompare. Qualche volta si scivola nella caricatura; qualche volta nella prolissità, che nuoce. Spesso il Goldoni introduce nell’azione un pranzo o un giuoco, ma qui la partita alla meneghella, per quanta sia l’arte, si trascina di soverchio. L’azione si dimostra insufficiente a riempire tre lunghi ati. L’amore di Domenica e Anzoletto non è gran cosa; il matrimonio del prudente Zamaria con madama Gatteau non si giustifica. La stessa novità vien meno, per chi conosca il teatro goldoniano, tolta la commovente partenza di Anzoletto, per la quale fu scritta tutta la commedia. Ma resta la nuova e squisita pittura della vita borghese veneziana; resta e ride e splende il dialogo veneziano, di cui maestro eccellente è il Goldoni: onde in ogni scena dobbiamo ammirare certi spunti degni dei più bei capolavori goldoniani e del grande teatro comico.

Vero è che più indulgenti dell’autore stesso si mostrarono i posteri. Una d. ult. sere di carnovale tornò ancora sulle scene nel secolo 19 e si rivede con piacere anche ai nostri giorni (spesso sotto il titolo improprio di Chiasseti e spasseti del carneval de Ven. che appartiene piuttosto alla comm. Chi la fa l’aspetta) per merito dei due valentissimi interpreti del teatro veneziano, Em. Zago e Ferr. Benini: come vedremo più avanti. Fra le vecchie recite ricorderemo quelle che diede nel 1820 e nel 1822 la comp. Morelli, nel t. di S. Benedetto a Venezia (v. Gazz. privilegiata), e quelle della comp. Moro-Lin a Venezia, a Trieste e altrove nel 1875 e nel 1876 (v. Attilio Gentille, Indipendente di Trieste, 30 dic. 1899). Famosa, anzi «unica» interprete Marianna Moro-Lin moglie del capocomico Angelo (v. Rasi, Comici italiani II, 162); famosa nella parte di sior’Alba Enrichetta Foscari (Rivista teatr. ital. VIII, 1910, f. I, p. 62). La recita del 31 gennaio 1876 nel teatro Comunale di Trieste, a pro del monumento di Goldoni a Venezia, fu preceduta da un prologo di Franc. Cameroni (Messaggio di Venezia a Trieste: v. Alb. Boccardi, Teatro e vita,