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UNA DELLE ULTIME SERE DI CARNOVALE 199

Madama. Non, monsieur Jamaria; monsieur Anjoletto non è pas digne de moi. Il a avuto la temente di sprezzarmi. Je mourerois piuttosto che andar con lui. Il è vrai, che sola non posso andare1, che non sono ancora sì vecchia, e che ho con me molto argento e avrei bisogno de la compagnie di un onest’uomo; mais je aborrisco questi giovani impertinenti, e je voudrois accompagnarmi con un uomo avanzato.

Zamaria. Sì ben, ve lodo, e sarà meggio per vu.

Madama. Est-il vrai, monsieur Jamaria, que vous êtes veuf?

Zamaria. Come? Se mi son vovi?

Madama. Voglio dire: è vero che voi siete vedovo?

Zamaria. Siora sì; son veduo.

Madama. Oh! la miserabile vita ch’è quella di noi poveri vedovelli! Pourquoi non vi maritate, monsieur Jamaria?

Zamaria. Oh! che cara madama. Ve par che mi sia in stato de maridarme?

Madama. Comment, monsieur? Un homme, come voi siete, potrebbe svegliare la fiamme de Cupidon dans le coeur d’une jolie dame.

Zamaria. Oh che cara madama!

Madama. Voi siete fresco, robusto, adorabile.

Zamaria. Diseu dasseno?

Cosmo. Sior padron, la vegna de là in cusina a dar un’occhiada, e ordenar cossa che s’ha da metter in tola.

Zamaria. Dove xe mia fia?

Cosmo. La xe de là con quelle altre signore.

Zamaria. Vegno mi donca. (Cosmo parte) Con grazia, madama, vago de là, perchè i vol metter in tola. Se volè andar in camera da mia fia, comodève.

Madama. Non, monsieur, je resterai ici, se voi mi donate la permission.

Zamaria. Comodève come volè. A révederse a tola.

Madama. Ricordatevi ch’io voglio a table sedere appresso di voi.

Zamaria. Arente de mi?

  1. Nelle edizioni Pasquali. Zatta ecc. c’è qui il punto fermo.