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delle Massere, delle Morbinose: il Campiello tende a fermare con i caratteri di una classe del popolo veneziano, la serenità dell’ambiente in cui il popolo veneziano viveva lungi dai romori assordanti delle compagnie sprofondate in un’orgia continua di colore, di sensazioni, di piaceri, di raffinatezze»: Gazzetta di Ven., 9 febbr. 1908. - Ma assai più ci sarebbe da dire su tale argomento). Lo creò senza sforzo, senza mai rettorica, con genio giocondo e quasi inconsapevole. Lo creò, come doveva, in dialetto, in quel glorioso dialetto che fu quasi una lingua per molti secoli, parlato dal Po alle Alpi di Germania e su tutta la sponda orientale dell’Adriatico, in quel dialetto che oggi stesso a Venezia nessuna persona colta vuole abbandonare negli usi della vita privata. Ed esaltò, senza parere, le passioni e le virtù dei popolo, di un popolo primitivo, e quindi un po’ rissoso, ma veramente onesto. Chioggia può bene vantarsi delle Baruffe chioggiotte. Scrissi altra volta: «Un popolo capace di queste passioni, così rozze, così ingenue, così sincere, è un popolo buono. E Carlo Goldoni, l’ex aggiunto coadiutore, si permette di ridere un poco, ma conosce bene la virtù dei Chioggiotti e immortalmente la celebra. Questi, che così amano, sono gli uomini del mare, i più arditi pescatori dell’Adriatico, per cui crebbe gloria alle navi veneziane: e così amarono da secoli, e così ameranno fin che la tartana di paron Toni dagli scogli dell’Istria e della Dalmazia torni felicemente alle sue lagune, e viva l’aspro dialetto che allietò un dì l’arte di Goldoni».
G.O.
Le Baruffe chiozzotte furono stampate la prima volta a Venezia nel 1774, nel I. XV dell’edizione Pasquali. Uscirono poi ancora a Venezia nelle edizioni Savioli e Pitteri (XV, 1780) Zatta (cl. I, X, 1789) Garbo (X. 1796), a Torino (Guibert e Orgeas XII, 1777), a Bologna (a S. Tomaso d’Aquino, 1786), a Lucca (Bonsignori XXIIl, 1790), a Livorno (Masi XXIV, 1792) e forse altrove nel Settecento. — La presente edizione seguì accuratamente il testo più corretto delle edizioni Pasquali e Zatta. Valgono per la vecchia grafia del dialetto veneziano, che non si può e non si deve costringere a norme costanti di perfetta unità, le solite osservazioni.