Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1915, XX.djvu/127


119


vuol più saperne di Orsetta e Titta Nane vuol lassare Lucietta: ma Toffolo Marmottina la pagherà per tutti. Queste varie scene, armonicamente legate con l'abilita propria del Goldoni, si muovono con vivacità straordinaria profondendo tesori di dialogo e rivelando nuovi caratteri: bellissimo quello onesto e impetuoso di Titta Nane e felice la macchietta di paron Fortunato, qualora non sia esagerata nell’interpretazione. Ormai la grande baruffa è preparata: a scatenarla viene sulla scena Toffolo. Il grande commediografo lo introduce inconscio affatto della tempesta imminente, anzi pentito di essersi seduto accanto a Lucietta ("La xe novizza, co ela no me n'ho da impazzare») e solo desideroso di vedere la Checca e di domandarla in isposa. Ma esce Beppo e vuol scacciarlo. L’uno ha il coltello, l’altro tira dei sassi. Escono Toni, Pasqua, Lucietta e gli altri; tutto il palcoscenico si riempie di uomini, di donne, di schiamazzi, di urli, finche dopo molto gridare e spingere i baruffanti rientrano nelle case, la strada torna quieta e silenziosa, e Toffolo parte ultimo con la minaccia della querela: «Sangue de diana! che li vôi querelare». - Questo primo atto dal dialogo rotto e pittoresco, dalle figure di una verità sorprendente e commovente, è una meraviglia di dramma popolare e basterebbe da solo alla gloria d’un autore. Col secondo atto entriamo nella Cancelleria criminale di Chioggia, e il pensiero corre involontariamente a Carlo Goldoni. Dobbiamo qualche volta farci forza per non illuderci di rivedere sotto le spoglie di Isidoro (l’umile deus ex machina del vecchio teatro) il giovane aggiunto del coadiutore Stefano Porta di Feltre, presso il cancelliere Egidio Zabottini. La prima scena, cioè la deposizione di Toffolo, abbonda di umorismo, e anche le altre scene del processo, cioè l’esame dei testimoni, fanno ridere, ma non è più questa la grande arte goldoniana, la grande commedia italiana. Questo atto, troppo lungo e prolisso qua e là, resterebbe molto al di sotto del precedente, se fra una udienza e l’altra presso la cancelleria, non tornasse ad apparire e a rinfrancarci l'anima la strada aperta di Chioggia, con le sue casupole, con le sue donne, con le sue reti, con le seggiole di paglia e gli scagnetti, con qualche lontano profilo d’albero o di vela. Nelle scene 2-6 culmina il dramma d’amore e di gelosia di Lucietta e di Titta Nane; e sono forse queste le più originali e le più belle del Goldoni e di tutto il teatro italiano. Scrissi già, or sono alcuni anni: «La scena terza del secondo atto è una delle più belle scene d amore di tutti i teatri, nè teme alcun famoso paragone.... Questa non è più commedia: sono brani di cuore umano, è sangue del popolo: grida piuttosto che dialogo, che si ripercuotono di terra in terra, dove sono uomini e amano, da tanti secoli» (l.c.).

Il dramma popolare riprende nel terzo atto in mezzo la via, dove prima Beppo e poi Titta Nane escono di nuovo, vincendo la paura degli zaffi, per sfogare le loro gelosie, per continuare i loro amori; e tra le donne, ancora protagoniste Lucietta e Checca, scoppiano nuove insolenze, e ancora il palcoscenico si riempie di popolo. Una intera moltitudine appassionata diventa ancora l’unico attore. Di che non vi ha esempio in tutto il teatro francese e italiano, anzi in tutta l’arte italiana, prima del Goldoni, se non in certe meravigliose tele del Quattro e del Cinquecento, che sono quadri e poemi e drammi ad un tempo. - Ricordare a tal proposito Li despiette amoruse, commedeja pe mu-