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A Biography, New York 1913), volgeva in inglese la famosa scena di Lucietta e di Titta Nane nel secondo atto. «Di tutte le commedie del Goldoni» afferma lo scrittore, americano «nessuna è così vibrante di vita come le Baruffe chioggiotte... E questa in fatti un’opera di teatro quale forse non fu mai scritta al mondo per il passato». Per la prima volta fuori d’Italia si proclamava la grandezza del capolavoro di Goldoni, come dice pure Chatfield-Taylor, della prima commedia «in cui con fedeltà e con affetto si rispecchia il popolo minore»; e questa voce venne d’oltre oceano. Poco tempo dopo, nell’agosto del 1914, la medesima rivista (The Drama, n. 15) stampava una completa traduzione inglese della commedia per opera di Carlo Lemmi, a cui precedono alcune pagine del traduttore su Papà Goldoni e le sue commedie veneziane. Benché non mi sia lecito recare giudizi, sembrami felice destino che dopo quasi due secoli le rudi passioni dei pescatori chioggiotti osino provarsi nel linguaggio dei marinai che popolano i porti smisurati di Londra e di Nuova York.

E ora percorriamo un poco il capolavoro goldoniano. Fin dalla prima scena l’autore mette insieme, raccolte in una calma apparente, le cinque donne della commedia, la moglie cioè e la sorella di paron Toni, la moglie e le due cognate di paron Fortunato, che devono poi separarsi con gran sussurro, quasi in due schiere nemiche, fino alle ultime scene. Parla prima Lucietta, il personaggio qui più evidente, che più tardi chiude pure la commedia; e comincia con quelle parole che tutti conosciamo «Creature, cossa diseu de sto tempo?», le quali ci fanno subito pensare alla tartana di paron Toni che sta per entrare in porto: al misterioso protagonista, come dissi altra volta, che deve provocare col suo arrivo la gran tempesta del dramma chioggiotto. E già dalla prima scena, dove subito si delineano i caratteri delle donne, sappiamo dell’amore di Lucietta e di Titta Nane, e della gran voglia che ha Checca di maritarsi. Ma giunge Toffolo Marmottina (sui nomignoli dei personaggi delle Baruffe vedasi David Levi Morenos, I sopranomi dei pescatori veneti, Venezia 1909) a turbare quella quiete, e scoppiano per un pezzo di zucca le gelosie e i dispetti fra Lucietta, la più ardita e vivace delle compagne, e Checca. Udiamo presto correre le ingiurie fra le due famiglie, ma le cinque donne si rappacificano a un tratto all’arrivo della tartana con gli uomini. Mirabile è tutto questo preludio per vivacità, verità e colore: il Goldoni maneggia da molti anni questi caratteri femminili e queste scene, ma ora la sicurezza dell’artista è perfetta.

Tutto ciò che sta per succedere sul palcoscenico è ormai chiaro e logico come nella vita. Nella scena quinta ammiriamo la grossa barca di paron Toni e sentiamo l’odore del pesce che si scarica. Scopriamoci davanti a Carlo Goldoni. Cielo e mare sorridono all’audacia del nostro commediografo. Abbiamo un bel pensare al naturalismo dei nostri scrittori di novelle, abbiamo un bel rievocare i canti carnascialeschi e berneschi, abbiamo un bel citare i drammi rusticali, la Fiera del Buonarroti o i libretti dell’opera buffa napoletana: questo spettacolo è nuovo nell’arte e nelle lettere nostre, è lieto, è moderno: è la vita. Ben possono ora venire il Parini e il Manzoni, e il romanticismo e il realismo, e tutto quel che si vuole. — Nelle scene seguenti le donne che avevano promesso di non parlare, prima quelle di paron Toni, poi quelle di paron Fortunato, sfogano il rancore mal represso, svegliando la gelosia e l’ira nel petto degli uomini. Invano i più vecchi portano una parola di calma: Beppo non