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dinaria, talora quasi indiavolata» (C. Gold., Firenze, 1911, pp. 306 e 309). Finalmente G. B. Pellizzaro, dopo aver ripetuto, come il Galanti, che il Goldoni nelle Baruffe trasse dal niente un capolavoro, afferma pure: " Manca un intreccio vero e proprio, è un succedersi di scene, che sono tanti quadretti vivi e balzanti, e formano nel loro insieme un quadro dei più coloriti e reali che si possano immaginare. E l’amoroso idillio di Tita Nane e Lucietta che si svolge fra i pettegolezzi, le lame dei coltelli, le sassate e l’interrogatorio alla cancelleria criminale, con le scenate d’ira e di gelosia, è il colmo della maestria e della verità» (La vita e le opere di C. G., Livorno, 1814, p. 58). Ritroviamo dunque in tutti, da più diverse parti, le stesse impressioni, gli stessi giudizi e quasi le stesse parole. Pare quindi strano che il Rabany nel suo grosso volume sul commediografo veneziano si dimenticasse di parlare delle Baruffe, benchè ne facesse tarda e non completa ammenda nell’appendice al testo: «L’intérét des Disputes de Chioggia ne réside pas dans l’intrigue, qui est sans importance. C'est plutôt un tableau de moeurs populaires, une photografìe instantanée de gestes et de groupes, quelque chose d’analogue aux Tribunaux comiques de Jules Moineaux» (C. Gold., Paris, 1896, p. 369). Basta questo mirabile paragone per dimostrare che il biografo del Goldoni non ha letto le Baruffe chiozzotte o ha capito molto meno di Volfango Goethe. Nemmeno Giulio Caprin nel suo libro intitolato al Goldoni concede uno spazio degno a questa singolarissima commedia; pur tuttavia giudica le Baruffe un capolavoro e le pone vicino ai Rusteghi, alla Casa nova, al Sior Todero (C. Gold. ecc.. Milano, 1907, pp. pp. 169 e 301): e similmente Nunzio Vaccaluzzo, nella introduzione alla sua recentissima scelta di commedie goldoniane (C. Gold., Messina 1914, p. 32, 70, 77). Attilio Momigliano, indagatore profondo dell’arte comica di C. Goldoni, nessun esame dedicò finora a questa commedia; e solo accontentasi di scrivere nella prefazione della recente antologia goldoniana: «Gli oggetti e le persone formano un tutto, hanno un’anima sola... Le vie di Chioggia sono fotografate ne Le baruffe ch., insieme con quei letichini e con quelle comari: e i due elementi, disgiunti, morirebbero» (Le opere di C. Gold, scelte e illustrate, Napoli, 1914). Ma nella scelta che fece dall’opera intera del commediografo veneziano non lasciò posto a nessuna scena delle Baruffe. La difficoltà del testo dialettale, quantunque arricchito di note spiegative dall’autore stesso, nocque, come abbiamo veduto, alla fortuna della commedia. Qualche tentativo ci fu di trasportare sulle rive dell’Arno e sul golfo di Napoli le baruffe dei pescatori chioggiotti. Nel principio del secolo scorso a Firenze la tipografia Bonducciana travestiva «per il Teatro Toscano» alcuni capolavori goldoniani; e uscirono nel 1808 Le Baruffe Pignonesi, Commedia in tre atti in prosa, tratta dalle Baruffe Chiozzotte del celebre Sig. C. Goldoni avvocato veneziano. È questa una versione fedele, soltanto la scena si svolge «al Pignone in riva all’Arno nei contorni di Firenze»; paron Toni diventa Domenico «padrone di navicello», Lucietta diventa Gigia (Luisa), Titta Nane si chiama Pierino navicellaio. Fortunato "parla presto senza l’r», Isidoro trasformasi Federico «cancelliere del Commissario del questore», Maso invece di zucca vende le stiacciatine, e così via. Nella prima scena Settimina e Gigia «lavorano di cappelli di paglia da una parte», Angiola fila, Caterina cuce una camicia» e Rosa, detta Ricottina. «lavora calze dall’altra». Nulla