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recandosi in Burchiello per le lagune e per il Po a Ferrara). «Seanche non riuscii ad afferrare lì per lì qualche singola allusione, potei tener dietro benissimo all’insieme». Tuttavia da alcune gravi inesattezze che sfuggono al Goethe nel riferire il riassunto della commedia, e dalla soverchia importanza attribuita al personaggio di paron Fortunato, giustamente il Maddalena ebbe a persuadersi che l’autore del Werther, ignorante del dialetto veneziano «in bocca a Chioggiotti per giunta», non riuscì a capire «gran cosa». (Proprio il contrario afferma Carlo Segrè, Goethe e «Le baruffe Chiozzote», in Saggi critici di letterature straniere, Firenze, 1894, p. 237). A ogni modo cediamo ancora la parola a Goethe: «Non ho mai veduto la gioia che mostrò di provare il popolo vedendo dipintosi al naturale. Risa e grida d’allegrezza dal principio alla fine.... Grandi elogi merita l’autore che ha fatto dal niente il più gradito passatempo del mondo. È una cosa però che riesce al poeta solo ritraendo immediatamente il gaio popolo che lo circonda. La commedia tradisce assolutamente una mano pratica» (versione di E. Maddalena dall’articolo Goethe e il Gold., in Fanfulla della domenica 4 settembre 1892, riprodotto in Bricciche goldon. cit.; per questo episodio v. pure L. Vianello, W. Goethe e Le baruffe Chiozz., nel Primo centenario di C. G., numero unico, Venezia febbr. 1893).
Una lode dedica il poeta tedesco anche agli attori, e specialmente alla prima donna, per la fedele imitazione dei costumi popolari. Credo di riconoscere in questa bella attrice la figlia di Giuseppe Lapy, Luigia, che aveva sposato l’attore Antonio Belloni, con cui passò nell’89, morto già il padre, nella compagnia Battaglia a S. Gio. Crisostomo. Recitavano pure a S. Luca, se ben m’appongo, Anna Perelli, col marito Luigi truffaldino, Teresa Consoli, Laura Checcati, Francesco Martelli e quel Petronio Zanarini, bolognese, che sosteneva le parti di padre e lasciò fama di grandissimo comico. Quattro anni dopo, mutata in parte la compagnia sotto la direzione del Perelli, si leggeva nella Gazzetta Urbana Veneta (27 ott. 1790, n. 86): «La Comica Compagnia a S. Luca, senza mai produrre sino a ieri nulla di nuovo, seppe mantenersi il concorso e l’aggradimento del Pubblico. Il valore della nuova prima donna [Luigia Lancetti] e del celebre Sig. Petronio, che recitò più volte, ne hanno il maggior merito. Delle più vecchie Commedie del nostro Goldoni si udirono con molta soddisfazione, come le Baruffe Chiozzote, i quattro Brontoloni, il Medico Olandese ed altre. Il bello, il vero non invecchia mai. Sappia il Molière dell’Italia, che la sua Patria non si scorda di lui, e che al venir dal Teatro dopo aver udita qualche sua Commedia, si sente a ripetere: — Vale più una di queste scene che tutte le nuove stramberie de’ moderni Autori».
Per trovare dopo il poeta tedesco uno spettatore e un ammiratore altrettanto illustre, conviene lasciar passare molti anni. Nell’inverno del 1858-59 Riccardo Wagner scriveva a Venezia, nel palazzo Giustiniani, le note del Tristano e si svagava dal lavoro con qualche visita al teatro Camploy, «dove venivano rappresentate molto bene le commedie del Goldoni». Più spesso, come racconta nelle sue memorie, recavasi «alle rappresentazioni diurne popolari al teatro Malibran. Quivi, costando l’ingresso solamente 6 crazie, ci trovavamo tra un pubblico eccellente (la più gran parte in maniche di camicia), per il quale si rappresentavano quasi sempre commedie di carattere cavalleresco.