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insultato mortalmente gettandogli un pezzo di zucca sulla faccia, minacciandolo di coltello e di sassate aggiungendo: Senti Checo il mio sopranome è Cortesan, sangue con l’aggiunta di.... te vojo amazzar; altro che.... te vojo amazzar andarò via di Chioza ma te vojo prima amazzar. Sono gli amori di Titanane e di Lucietta, le questioni di Toffolo Zavatta, le sue esclamazioni: Sti baroni, sti cani, sangue de diana, me l’ha da pagare. Nel rendiconto del processo apparisce che il Varagnolo viene condannato, mentre il tipo della commedia si rappacifica mercè l’intervento del coadiutore. - Un altro personaggio che ha qualche importanza nell’azione è quello di paron Fortunato, il quale per difetto di pronuncia si rende comicissimo. Egli che diceva pettè per aspettate, potare in terra de atto pesse, e de faina, trova corrispondenza in altro paron de barca balbo, il quale comparisce in un processo del 1732 redatto pure dal Goldoni». Tutta questa laboriosa e arguta costruzione dell’Urbani precipita d’un colpo, perchè, come molti avvertirono (primo o fra i primi Ernesto Masi, Parrucche e sanculotti nel sec. XVIII, Milano, 1886, p. 67) il Goldoni era già a Feltre fin dal maggio 1729 e a Chioggia non fece mai più soggiorno, sebbene più volte vi facesse un rapido passaggio nei suoi viaggi da Venezia a Ferrara e a Bologna, per via di acqua. Se l’autore delle Baruffe avesse attinto a un episodio reale la tela della commedia, quasi certamente o prima o poi lo avrebbe detto, per quella sua abitudine di fare le confessioni al pubblico. Nelle memorie italiane, dove accenna alla popolazione chioggiotta, dice soltanto: «e que’ pizzi e quelle Donne e que’ Pescatori mi hanno l’argomento somministrato di una Commedia rappresentata sopra le Scene» (vol. I cit., p. 15). E nelle memorie francesi: «...J’avois eu affaire à cette population nombreuse et tumultueuse de pêcheurs, de matelots, et de femmelettes, qui n’ont d’autre salle de compagnie que la rue: je connoissois leurs moeurs, leur langage singulier, leur gaieté et leur malice; j’etois en état de les peindre, et la Capitale, qui n’est qu’a huit lieues de distance de cette Ville, connoissoit parfaitement mes originaux» (P. II, ch. 42). Questo bisogna credere, e nient’altro. Del resto sì misera questione sembra rimpicciolire il Goldoni. La grandezza dell’artista in questa commedia non consiste nel trasportare un avvenimento o un personaggio reale sulla scena, bensi nel trasportarvi i caratteri particolari di un’intera popolazione. Per tale rispetto io non conosco nessuna commedia più vera delle Baruffe chiozzotte, nè più originale.

Nella intestazione della commedia si legge che le Baruffe furono rappresentate «per la prima volta in Venezia il carnovale dell’Anno 1760» (v. edizioni Pasquali, Zatta e tutte le altre antiche o recenti); e tale data trovasi ripetuta nei Mémoires. Ma invano di questa recita si cercherebbe notizia nei documenti del tempo. Soltanto nel numero 95 della Gazzetta Veneta del Chiari, ai 23 gennaio del 1862, si annunziava: «Nel Teatro a S. Luca è imminente la rappresentazione d’un altra Commedia nuova intitolata, in dialetto nostro, Le Chiozotte, e quanto prima ne sentiremo il giudizio del Mondo». E il mondo ha espresso in fatti il suo giudizio; ma ci resta da conoscere quale fosse quello dell’abate bresciano, perchè egli si dimenticò di stamparlo. Poco male: a noi basta che la data del 1762 sia confermata dall’elenco delle recite del teatro di S. Luca, scoperto da Aldo Ravà nell’archivio del Teatro Goldoni (di