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forma quasi un sobborgo di Chioggia con circa 2000 abitanti. Questo Villaggio è situato sopra un lido che separa le Lagune dal mare».
Questa singolare città che vantava origini troiane e romane, rivale di Padova fin che non fu distrutta e arsa dai Genovesi nel memorabile assedio (1379), prima città del Dogado, dopo Venezia, e di Venezia braccio vigoroso, avanzato a mezzogiorno verso il mare, godeva il privilegio di un suo Consiglio Maggiore «composto di soli cittadini originari veneti del distretto», di un Consiglio Minore, di un Cancelliere Grande, nell’abito, nella dignità e negli onori simile «al Gran Cancelliere della Dominante»: sebbene quale capo riconoscesse un rettore nobile veneziano col titolo di podestà (Topografia cit.) Seanche sparirono ormai le vecchie magistrature, e gli antichi usi cedettero ai tempo; seanche la gloriosa tartana («legno grande e robusto, di forma media tra l’antica galeazza e l’attuale trabaccolo») fu sostituita a poco a poco «dalla varia gente dei bragozzi e d’altri legni più agili forse ma non più solidi nè più belli» (Molmenti e Mantovani, Le Isole della Laguna Veneta, Venezia, 1895, p. 96); seanche la tonda o ninzoletto, mezza gonna arrovesciata sul capo, non circonda quasi più il viso delle donne chioggiotte, l’aspetto della città e della popolazione rimane pur sempre caratteristico e originalissimo.
«Non calli e canali intrecciati in un dedalo come a Venezia» raccontano i descrittori moderni, «non prospettive capricciose e strane: ma una pianta regolare, quasi geometrica». Nulla però delle nostre recenti officine industriali: qui siamo nella patria dei marinai. «Alberi, antenne, pennoni di navi, pali da sostenere le reti, pertiche da reggere nasse, cestoni, cordami», barche «d’ogni grandezza e d’ogni foggia» e bastimenti «di gran cabotaggio», «grandi vele latine dipinte d’immagini simboliche, stampate di lettere maiuscole, listate e inquartate come stemmi; remi enormi, che due uomini muovono a fatica, e remi leggieri....; àncore buone da mordere nella sabbia e nello scoglio..... E intorno, su le rive, son magazzini, cantieri, botteghe ingrommate di salsedine; e da per tutto diffuso, anzi connaturato nell’aria, quel tanfo salso che a Venezia si chiama, con termine intraducibile, freschin, e del quale viene or sì or no a consolare le nari qualche esalazione di pece e di catrame» (Le isole ecc., pp. 94-95). Tale la città, delizia e tormento dei pittori; ed ecco dal Molmenti e dal Mantovani ritratti al vivo gli abitanti, gli arditissimi pescatori dell’Adriatico: «Bei tipi questi Chioggiotti: figure aduste e un po’ curvate dalla fatica del remo e della rete, facce arse da tutti i venti del libero mare, scolpite a profili risoluti, a piani vigorosi, con occhi gravi e acuti bruciati intorno dal sole e spesso tormentati da malattie: gente che cammina adagio, con quel curioso oscillare su’ ginocchi che è proprio di chi per usanza cerca l’equilibrio sul mobile piano della barca, con la pacatezza di chi per solito ha da fare un cammino breve e mal sicuro». Portano la «giacca grossa o cappotto grossissimo di lana con l’ampio cappuccio, berrettone di lana rossa o scura, zoccoli di legno, alte calze di lana rimboccate al ginocchio, e in bocca la pipa, la tradizionale, l’inseparabile pipa dal caminetto di creta» (l. c., pp. 96-98). Povere le case, ma pittoresche. Tuttavia i Chioggiotti amano «più la barca che la casa.... Anche nelle giornate di riposo preferiscono sedere su la riva di un canale o sotto una loggia in piazza che starsene rinchiusi nelle stanze affumicate e ammorbate dal pesce fritto» (pp. 102-103. V. un po’ prima,