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356 ATTO TERZO

Fabrizio. Noi siamo qui, non partiamo. Quegli altri che erano venuti per pranzare, hanno sentiti i disordini, e se ne sono andati; noi siamo i più fedeli, i più costanti: terremo compagnia alla signora Cecilia.

Conte. Ma, signora mia, il di lei stomaco patirà, preme la di lei salute.

Fabrizio. Vuole ch’io dica al cuoco, che le sbatta una cioccolata?

Cecilia. No voggio gnente. (alzandosi con isdegno) No credeva mai che sior Anzoletto me usasse sto tradimento! No dirme gnente? No confidarme mai i fatti soi? Darme da intender delle grandezze? Farme creder quel che no giera? Con mi nol doveva trattar cussì. El m’ha tradio, el m’ha sassinà. (si getta a sedere)

Conte. Signora, ella è troppo agitata.

Fabrizio. Non vorrei che la nostra presenza l’inquietasse d’avvantaggio.

SCENA VII.

Anzoletto e detti.

Anzoletto. (Povera muggier!)

Cecilia. (S’alza con impeto contro Anzoletto) Andeme via de qua, no me vegnì per i pìe.

Anzoletto. Tolè, tolè sto cortèlo, e mazzème.

Cecilia. Sior omo senza giudizio, senza reputazion. (prende il coltello e lo getta via.)

Anzoletto. Cara muggier, vede in che stato che son. Se tutti me strapazza, almanco abbieme vu carità. Se ho fatto dei debiti, savè che per soddisfarve...

Cecilia. Cossa? Ardiressi de dir, che ave fatto dei debiti per causa mia? Cossa aveu speso per mi? Dov’èle ste zogge che m’ave fatto? Aveu fatto altro per mi, che quattro strazzi de abiti, e tor sta maledetta casa, che gnanca no avè pagà el fitto? Ah? cossa aveu speso per mi? Cossa aveu butta via? Che debiti v’oggio fatto far?

Anzoletto. Gnente, fia mia, gh’ave rason. Non ho fatto gnente.