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LA CASA NOVA 355

Conte. Sarà sempre servita e rispettata la signora Cecilia.

Cecilia. Eh caro sior Conte. (si alza) co no se xe più in stato de dar da disnar, pochi se incomoda a favorir. (passeggia)

Conte. (Ora ha parlato con voi). (a Fabrizio)

Fabrizio. (Averà parlato con tutti due). (al Conte)

Cecilia. Dove diavolo xelo sto sior Anzoletto? S’alo sconto? S’alo retirà? M’alo lassà mi in te le pettolea? Per diana de dia, la mia roba i la lasserà star. (passeggia)

Conte. Signora, io la consiglierei di fare un’assicurazione di dote.

Cecilia. Come se fala?

Fabrizio. La serviremo noi, se comanda.

Conte. Andremo noi dove spetta, e faremo quel che va fatto.

Cecilia. Via donca; le me fazza almanco sto piccolo servizietto.

Fabrizio. Ci lasci vedere il suo istrumento dotale.

Cecilia. Ghe xe bisogno dell’istrumento?

Conte. Sì, certo, vi vuole li contratto, o pubblico, o privato, com’è.

Cecilia. Orsù, no voggio che i diga, che fazzo fallir mio mario; de ste cosse nissun dei mii ghe n’ha fatto, e no voggio farghene gnanca mi. (passeggia)

Fabrizio. (Ehi, nol sapete che non ha niente di dote?) (al Conte)

Conte. (Lo so meglio di voi). (a Fabrizio)

Cecilia. E dove xe mia cugnada? Xela andada via? M’ala impiantà anca ela? No vedo nissun? Nissun me vien in ti versi? Vorli che me daga alla desperazion? (siede)

Conte. Signora, ci siamo noi.

Fabrizio. Eccoci qui. Nasca quel che sa nascere, noi non l’abbandoniamo.

Conte. Per amor del cielo, signora, si dia coraggio.

Fabrizio. Sono tre ore che è sonato il mezzogiorno, io la consiglierei di prendere un poco di cibo.

Cecilia. Gh’ho altro in testa che magnar. Magnerave tanto velen.

Conte. Bene, mangierà più tardi; quando ne avrà più voglia.

  1. Negl’impicci.