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302 | ATTO PRIMO |
Sgualdo. Zitto. Vela qua che la vien.
Lucietta. Ghe anderò un pochette incontra, cussì per cerimonia. (s’avvia verso la porta)
Sgualdo. Via, putti, destrigheve.
SCENA X.
Cecilia, il Conte Ottavio e detti.
Lucietta. Serva, lustrissima.
Cecilia. Bondi, fia, chi seu?
Lucietta. La cameriera de casa, per servirla.
Cecilia. V’alo tolto per mi sior Anzoletto?
Lucietta. Lustrissima no; xe un pezzo che son in casa.
Cecilia. Ghe tegnivelo la cameriera a so sorella?
Lucietta. Lustrissima sì.
Cecilia. Quante donne seu in casa?
Lucietta. No ghe ne xe altre che mi per adesso.
Cecilia. E disè che sè cameriera?
Lucietta. Cossa vorla che diga? La serva? La vede ben, lustrissima, me tegno un pochetto in reputazion; fazzo onor a la casa.
Cecilia. E ben ben, me menerò con mi la mia cameriera. Che camera xela questa?
Lucietta. Questa i l’aveva destinada per camera d’udienza, ma pò i ha pensa de portar qua el letto, e far camera d’udienza in quella de là.
Cecilia. Chi è sta quell’ignorante che ha fatto sta bella cossa? Xelo sta el tapezzier?
Sgualdo. Mi no certo, lustrissima.
Cecilia. La camera più granda ha da esser la camera della conversazion. Cossa disela, sior Conte?
Conte. Dice benissimo la signora Cecilia. Questa deve essere la camera della conversazione.