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300 | ATTO PRIMO |
Per questo, per no vegnir a sti termini, procuro de schivar le occasion, cerco de contentarla, e fazzo quel che posso. Basta, la sarà co la sarà. (Me confido in do cosse, o che mora mio barba, o che me tocca un terno). (parte)
SCENA VIII.
Fabrizio, poi Sgualdo.
Fabrizio. Questo è un giovine, che finora si è andato rovinando di trotto, ed ora con questo suo matrimonio vi vuol andar di galoppo. Ehi, signor tappezziere.
Sgualdo. La comandi.
Fabrizio. Il signor Angioletto mi ha raccomandato ch’io invigili alla sollecitudine dell’allestimento di queste stanze, ma voi siete un uomo di garbo, che non ha bisogno di essere nè diretto, nè stimolato. Fate dunque il debito vostro, portatevi bene, e ci rivedremo all’ora del pranzo. (parte)
SCENA IX.
Sgualdo, poi Uomini, poi Lucietta.
Sgualdo. Sior sì, a ora de disnar xe l’ora che sta sorte de amici no manca. El podeva anca far de manco de farme far sta fattura.
Pazienza. Bisogna starghe. Anemo, putti, vegnl de qua, principiemo a desfar sta camera. (vengono gli uomini e vogliono sfornire)
Lucietta. Coss’è? tornemo da capo?
Sgualdo. Vegnìu anca vu a metterghe la vostra pezzettaa?
Lucietta. Uh.... squasi squasi v’ho ditto la rima che ghe va drio. (ballendosi la bocca)
Sgualdo. Una bella botta no se perde mai.
Lucietta. Oh, disè sul sodob, anca sì che el paron mette qua a dormir la sorella?
Sgualdo. Oh giusto! el ghe vol dormir elo.
Lucietta. Cossa xe ste muanzec?