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LA CASA NOVA 293

Sgualdo. Mi no ghe n’ho, lustrissimo.

Anzoletto. Orsù, xe tardi, lassemo cussì, e femo de manco de le soazette.

Sgualdo. (Semo al giazzoa come che va! ) (va a badar ai lavori)

SCENA IV.

Fabrizio e detti.

Fabrizio. Si può entrare?

Anzoletto. Vegnì avanti, sior Fabrizio.

Fabrizio. E così, amico, è finita ancora questa casa?

Anzoletto. Ghe semo drio. Cossa diseu? Ve piase?

Fabrizio. Se devo dirvi la verità, non mi piace niente.

Anzoletto. No? per cossa?

Fabrizio. Prima di tutto, voi avete fatto una bestialità a mettere il letto nell’altra camera a tramontana. Questa, che è a mezzogiorno, questa era la camera da dormire. Se dormirete a tramontana, voi creperete.

Anzoletto. Sentìu, sior Sgualdo?

Sgualdo. Adesso, cossa voravela dir?

Anzoletto. Voleu che dorma a tramontana? Voleu farme crepar? (a Sgualdo)

Sgualdo. Bisognava pensarghe avanti.

Anzoletto. Semo ancora a tempo, e gh’avemo da remediar.

Sgualdo. Cossa vorla che femo?

Fabrizio. Ci vuol tanto a portare il letto in questa camera?

Sgualdo. E i fornimenti?

Fabrizio. Uomini e denari fanno tutto.

Anzoletto. Sior sì, omem e bezzi remedia a tutto. (a Sgualdo)

Sgualdo. Mi penserò per i omeni, e ela la pensa ai bezzi, (scaldandosi)

Anzoletto. Cussì se parla? Veggio mai negà bezzi? V’ha mai mancà bezzi.

Sgualdo. (Ghe mancherave poco, che no lo svergognasse in fazza de quel galantomo).

  1. È spiantato.