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268 | ATTO TERZO |
SCENA ULTIMA.
Don Properzio, Fabrizio e detti.
Properzio. Signora, ecco il suo segretario.
Giulia. (Il suo cambiamento è sincero).
Fabrizio. Eccomi nuovamente all’onor di obbedirla.
Giulia. Sì, ho piacere di avervi ricuperato. Vi ringrazio di aver avvisata per me donn’Aurelia, e vi prego innanzi sera di farmi venir la mia cameriera. Intanto, alla presenza vostra e del signor don Properzio, seguiranno questi due matrimoni. Donna Aurelia, vi servirò io in luogo di madre. Son certa che donna Fulgida sarà contenta; date la mano a don Ridolfo.
Aurelia. Eccola. (porge la mano a don Ridolfo)
Ridolfo. L’accetto, e vi do la mia fede.
Giulia. A voi, signori. (a don Alessandro e a donn’Aspasia)
Alessandro. Deh! accordatemi la vostra mano, (a donn’Aspasia)
Aspasia. Sì, per dispetto. (gli dà la mano)
Giulia. Signor notaro, fate quel che va fatto.
Notaro. Benissimo.
Properzio. Signora donna Giulia, non si potrebbe fare una cosa?
Giulia. E che cosa?
Properzio. Tornare a far di nuovo il nostro matrimonio?
Giulia. E perchè? Non è forse ben fatto?
Properzio. Finora è stato un matrimonio arrabbiato, vorrei che ne cominciassimo un pacifico.
Giulia. Sì, per questo buon fine non vi è bisogno di rinnovare gli sponsali. Basta rinnovellare i costumi, e prendere una migliore strada. Io baderò all’economia della casa, e procurerò di rendermi degna del vostro compatimento. Voi lasciatemi in pace, e non m’inquietate nel mio carteggio, ne’ miei maneggi. Questi servono al mio piacere, ed al bene de’ miei amici: piacere onesto, che distingue la donna nobile dalle donne volgari.
Fine della Commedia.