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260 ATTO TERZO

Properzio. (Oh! signor poeta, se ciò succede, l’abbiamo da discorrere insieme).

Giulia. La paga che offeriscono, è di mille rubli Properzio. (borbottando i versi del poema, mostra il compiacimento di questa proposizione.)

Ridolfo. È arrivato ancora, signore, alla descrizione della farfalla? (a don Properzio)

Properzio. SÌ, bellissima! E proprio adattata per una canzonetta per musica.

Ridolfo. Per un’aria, vuol dire.

Properzio. Bravissimo. Questa sola val mille rubli.

Giulia. (Don Properzio è capace di guastar ogni cosa) (da sè) Sentite. (a don Ridolfo, tirandolo in disparte) io vi procurerò questa buona fortuna. Anzi vi farò subito far la scrittura da chi ha l’incombenza, e vi farò dare un quartale anticipato oltre l’occorrente pel viaggio.

Properzio. (Non sentendo quel che dice donna giulia, si accosta bel bello per sentire.)

Ridolfo. Questa per me è una beneficenza che mi dà l’essere.

Giulia. Ma anche voi avete da fare qualche cosa per me.

Properzio. (E per me ancora ce n’ha da essere).

Giulia. Ci è quella povera donna Aurelia, che fa compassione. Ha per voi della stima e dell’affetto. So che anche voi l’amate; ma le vostre comuni disgrazie non vi permettevano di accompagnarvi insieme... Ora che il cielo vi ha proveduto, mi obbligherete infinitamente sposandola, e conducendola con voi in Moscovia.

Properzio. Che sproposito! (forte)

Giulia. (Voltandosi, e vedendo don Properzio) Sproposito, signore? (a don Properzio)

Properzio. Eh! dico che in questo verso ci è uno sproposito.

Ridolfo. E qual è questo sproposito?

Properzio. Non sarà vostro, sarà del copista.

Ridolfo. L’ho copiato io.

Properzio. Sarà mio dunque. (seguita a borbottare i versi, ritirandosi)