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LA DONNA DI MANEGGIO | 259 |
Properzio. Bellissima. (segue come sopra)
Ridolfo. Rimarchi que’ due versi.
Properzio. Li ho rimarcati.
"Divien pallida, e sviene, e par che mora. (con enfasi)
Properzio. Bravissimo. (segue a borbottar come sopra)
Ridolfo. (Io glielo strapperei dalle mani).
SCENA IX.
Donna Giulia e detti.
Giulia. Son qui, vi domando scusa.
Ridolfo. Signore, non s’annoi d’avvantaggio. (chiedendo il poema a don Properzio.)
Properzio. Ci ho ritrovato gusto, è un capo d’opera.
Giulia. Se ha che fare, signore, si serva. Ho qualche cosa da trattare con don Ridolfo. (a don Properzio)
Properzio. Faccia pure; tratti, parli liberamente. Io non impedisco. Mi diverto a leggere questo bel sonetto.
Ridolfo. Sonetto, signore, a un poema di sessanta ottave?
Properzio. Sì, come volete: questo bel poema di sessanta ottave.
Ridolfo. (Povera poesia!)
Properzio. (Ho curiosità di sentire, se donna Giulia gli promette di far per lui; non lo vo’ perdere di vista. Non ho gran concetto della generosità dei poeti). (da se)
Giulia. Don Ridolfo, io credo di essere in grado di poter stabilire la vostra fortuna.
Ridolfo. Il cielo volesse, signora. Mi raccomando alla vostra protezione.
Giulia. Mi scrivono da Moscovia, che la Corte avrebbe bisogno di un poeta drammatico. V’impegnereste voi di riuscire in questo genere di poesia?
Ridolfo. Signora, io ho fatto de’ drammi, e posso far vedere la mia abilità.