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256 ATTO TERZO

Aspasia. (Non potrò trattenermi). (come sopra)

Giulia. (Venite meco in un’altra camera). (a donna Aspasia)

Properzio. E così, signora, lo vuole, o non lo vuole?

Giulia. Favorisca introdurlo e trattenerlo un momento. Servo di là questa dama, e torno subito. (a don Properzio) Andiamo. (a donna Aspasia)

Aspasia. (Mi sento rimescolar tutto il sangue). (parte con donna Giulia)

SCENA VI.

Don Properzio, poi don Ridolfo.

Properzio. Già so che con essa è tutto buttato via. Con tutte le mie buone grazie, non farò niente. Pure vo’ tentaritàr di convincerla; non vorrei ch’ella mi facesse spendere in una lite. Ehi! signore, favorisca. (alla scena)

Ridolfo. Mi rincresce di dover dare a lei quest’incomodo.

Properzio. Non fa niente. La signora lo prega di trattenersi un poco, che or ora viene.

Ridolfo. Prenda pure il suo comodo.

Properzio. Chi è ella, signore, se è lecito?

Ridolfo. Ridolfo Presemoli, ai di lei comandi.

Properzio. Ah! il signor don Ridolfo, quel bravo poeta. Me ne rallegro infinitamente.

Ridolfo. Suo umilissimo servitore.

Properzio. Viene ella da mia moglie per qualche raccomandazione?

Ridolfo. Per verità, vengo a prendere una signora che ho avuto l’onore di accompagnare fin qui, e che devo ricondurre alla sua abitazione.

Properzio. Sì, la signora donna Aspasia era qui in questo momento.

Ridolfo. Perdoni, non è la signora donna Aspasia, ma la signora donna Aurelia.

Properzio. Aurelia, o Aspasia, non mi ricordo bene, lo credeva che si chiamasse Aspasia.