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254 | ATTO TERZO |
Aspasia. Io l’intendo così questa volta.
Giulia. Una delle due, donn’Aspasia, o ricever le scuse di don Alessandro, e dargli la mano di sposa, o metterlo in libertà, che si possa maritar con chi vuole.
Aspasia. Chi è che propone queste due condizioni?
Giulia. Le propongo io.
Aspasia. Che autorità avete voi di obbligarmi o a sposarlo, o a metterlo in libertà?
Giulia. Siccome ho trattato io queste nozze, intendo o che si concludano quanto prima, o che si sciolgano legalmente.
Aspasia. Voi che ci avete legati, voi con la vostra gran prudenza scioglieteci.
Giulia. No, donn’Aspasia. Una vostra parola formò il legame, ed una parola vostra dee formare lo scioglimento.
Aspasia. Se non basta una delle parole, ne dirò dieci. Vi dirò che don Alessandro è un mal cavaliere, che non ha ne amore, nè fedeltà per nessuno, che non sa distinguere il grado e la condizione delle persone, che ha un cuor perfido e scellerato. Ne volete di più?
Giulia. (Sì, ho capito). Conviene dunque che risolviate.
Aspasia. Ci giuoco io, ch’egli non avrà faccia di comparirmi dinanzi.
Giulia. Chi sa che non lo vediate fra poco?
Aspasia. Povero lui.
Giulia. Davvero?
Aspasia. Povero lui, se si lascia da me vedere.
Giulia. Io vi consiglio sfuggir l’incontro. La bile potrebbe farvi del male.
Aspasia. Per me lo sfuggirò certamente. Ditegli voi, che non ardisca di essere dov’io sono.
Giulia. Cara donna Aspasia, mi dispiacerebbe che l’incontro dovesse nascere in casa mia.
Aspasia. Per me ne starò lontanissima.
Giulia. Egli deve essere qui a momenti.
Aspasia. A momenti?