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252 ATTO TERZO

Giulia. Io non lo posso dire, perchè non lo so; ma so bene, che don Alessandro ha data a voi la parola, che voi ad esso l’avete data, che io ci sono di mezzo, e che queste nozze devono immancabilmente seguire.

Aspasia. A chi lo raccontate?

Giulia. A voi.

Aspasia. A me? Povera donna Giulia! Andatelo a dire a donna Aurelia, che è stata oggi da voi, e che non si sa quando sia uscita di questa casa, e che può essere che ci sia ancora e che la tenghiate nascosta, e che mi vogliate dare ad intendere che la luna è caduta nel pozzo.

Giulia. Io non dico bugie, signora. Donna Aurelia è venuta da me, ed io l’ho mandata a chiamare, ed è qui: sì signora, è nell’appartamento terreno.

Aspasia. Oh! ci ho gusto, ci ho gusto. L’ho indovinata, ci ho gusto. (ridendo affettatamente)

Giulia. E per qual fine credete voi che l’abbia fatta venir da me?

Aspasia. Oh! per prudenza, per compassione; perchè è una povera figlia, senza dote. Io finalmente posso trovar di meglio; ella, poverina, ha bisogno di tutto... Brava donna Giulia, brava, fate bene a far delle opere di pietà. Ci ho gusto; in verità, ci ho gusto.

Giulia. Leggete questo viglietto.

Aspasia. Eh! che non voglio legger viglietti.

Giulia. Se non volete, lasciate. (Io ritira)

Aspasia. E che cosa c’è in quel viglietto? (fa conoscere la curiosità)

Giulia. Leggetelo, e lo saprete.

Aspasia. Via, per farvi piacere. (lo prende, e legge)

Giulia. (Ha più voglia ella di leggerlo, che io non aveva di darglielo).

Aspasia. Oh bene! oh brava! Ci ho gusto. L’ha licenziato dunque?

Giulia. Sì, lo ha licenziato, e questa è opera mia, e a questo fine l’ho fatta venir da me, e non sarò quieta, se non la vedrò collocata.