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fatto per la ragione accennata nella precedente epistola dedicatoria, e non mi pento d’averlo fatto, dacchè parmi colle annotazioni più necessarie aver chiarito il più diffìcile da capirsi. Ho data la spiegazione a tutti quei termini, e a quelle frasi, che non possono dagli stranieri rinvenirsi nei Vocabolarj Italiani; ma quelle voci, che hanno in qualche modo dell’analogia colle dizioni Toscane, le ho lasciate com’erano, potendo chi ha un po’ di talento conoscerne la derivazione, e superare la picciola differenza. Per esempio le coniugazioni de’ verbi sono alquanto diverse, ma si capiscono facilmente: Farave per farei: Son andà per sono andato: Se savessi in luogo di se sapeste, non sono modi sì strani, che abbiano bisogno di spiegazione, nè basterebbe il Dizionario a spiegarli, ma vi vorrebbe ancor la Grammatica.

Anche l’ortografia Veneziana altera talvolta il significato, ma chi vi abbada l’intende, ed è l’ortografia regolata secondo il suono della pronuncia. Noi, per esempio, non diciam bello, ma belo, non perfetto, ma perfeto; e per regola generale quasi tutte le consonanti doppie, da noi si pronunciano semplici. Però in alcune voci le lettere semplici da noi si raddoppiano, come in luogo di cosa noi diciam cossa, ma queste sono pochissime.

I pronomi hanno qualche diversità dai Toscani: i più osservabili sono Io, che si dice Mi, Tu, che si dice Ti, Egli, che dicesi Elo. Così è osservabile nella espressione dei verbi, che tanto nel singolare, che nel plurale, si dice nella stessa maniera. Per esempio: Io andava: Mi andava. Quelli andavano: Queli andava. Molto vi vorrebbe per dir tutto su tal proposito. Per ora basti così. Può essere che in altra occasione dica qualche cosa di più.