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246 | ATTO TERZO |
fendermi, o per accusarmi? Per indurlo a cedere, o per obbligarlo a resistere? No, no, voglio superarmi, non voglio porre al cimento la mia delicatezza, (va bel bello tentando il sigillo, e si apre.) S’ella se ne accorgesse, avrebbe giusta ragione di mortificarmi. Per bacco! il suggello è aperto, e si può richiudere senza che se ne avvegga. Potrei pur leggere, potrei pur vedere. No, voglio mortificarmi, voglio rimettere il foglio com’era prima. Ma sento che non posso resistere. L’amore mi sprona, il timore mi agita, sono in necessità di vedere. (apre il foglio) Mi trema la mano, mi manca il cuore. Se mai venisse, se mi sorprendesse... (si alza, guarda intorno, e si allontana dal tavolino) Coraggio; non c’è nessuno. La mia passione supera ogni rimorso. (legge piano) Povero me! Cosa sento? Si querela di me con mio padre? Lo mette al punto di violentarmi? Lo chiama a Napoli per mio malanno? Son fuor di me; non so quel che mi faccia. Son disperato. (si allontana sempre più dal tavolino) Oimè! Ecco donna Giulia... La lettera Non son più a tempo, (imbroglia la lettera, e se la mette in saccoccia.)
SCENA II.
Donna Giulia ed il suddetto.
Giulia. Compatite, don Alessandro, se vi ho fatto aspettare.
Alessandro. Anzi son pien di rossore per l’impazienza del vostro incomodo. (Non so quel che mi dica).
Giulia. (L’impazienza del vostro incomodo?) Si può sentire di peggio?
Alessandro. (Mi par di essere in una fornace).
Giulia. Che vuol dire, che siete così confuso?
Alessandro. Vuol dire, signora, che l’eccesso della passione suscita nel mio seno una tempesta d’agitazioni.
Giulia. Povero don Alessandro, vi compatisco; ma io mi lusingo di avervi procurata la calma.
Alessandro. Ah! voi mi procurate il naufragio.