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240 | ATTO SECONDO |
Orazio. Perdoni. Favorisca qualche cosa dunque.
Properzio. Siete senza un baiocco?
Orazio. Per obbedirla.
Properzio. Io non do niente a nessuno, se non ho provata l’abilità.
Orazio. Pazienza.
Properzio. Andate a lavorare. Avvertite di essere pontuale. Non vi usurpate niente di quel del padrone. Il brodo lo voglio tutto per me, e non ardiste di schiumare il grasso. Non consumate legna più del dovere. Non caricate le vivande di sale. Spezierie non ne voglio; butirro pochissimo, e quel che avanza di tavola, riponetelo per la sera. Avete capito?
Orazio. Per obbedirla.
Properzio. Andate, e portatevi bene.
Orazio. (Oh! sì, che ho ritrovata la mia fortuna). (parte)
SCENA XIII.
Don Properzio, poi Orazio.
Properzio. Costui è un uomo che mi piace, perchè sa fare di tutto, e perchè ha poche parole; e poi è in bisogno, è in estrema necessità, e per campare, si contenterà d’ogni cosa. Il punto sta che la mia signora se ne contenti. È diventata soffistica al maggior segno.
Orazio. (Col grembiale da cuoco ed un pollo in mano) Signore.
Properzio. Cosa volete?
Orazio. Un’imbasciata.
Properzio. E così si va a ricevere le imbasciate?
Orazio. Come vuole ch’io faccia?
Properzio. E chi è?
Orazio. Non so niente. Ho sentito salir le scale, e chiamare nell’anticamera.
Properzio. Vi hanno veduto?
Orazio. Non signore.
Properzio. Presto; date qui quel pollastro.