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LA DONNA DI MANEGGIO | 237 |
Giulia. E voi, che cosa dite?
Aurelia. Dico, dico, che se non avevate altro da dirmi, potevate lasciarmi stare, e che questa non è la maniera. (mortificata)
Giulia. Favorite di parlar nei termini.
Aurelia. E se la fortuna vuol aiutare una povera faciulla civile, non è carità il pregiudicarla... (come sopra)
Giulia. E non è giusto che una fanciulla civile...
AURELIA. Io non ho nè parenti, nè amici, e se perdo questa buona sorte, per me è una disperazione. (piangendo)
Giulia. Temete voi di non maritarvi?
Aurelia. Senza dote chi volete voi che mi pigli? (come sopra)
Giulia. E perchè don Alessandro vi ha da sposar senza dote?
Aurelia. Perchè mi vuol bene; e chi ama, non cerca interesse. (come sopra)
Giulia. E che sarebbe di voi, se il padre di don Alessandro negasse di ricevervi in casa?
Aurelia. Ci darà il modo di vivere fuor di casa; e poi è vecchio, e probabilmente morirà prima di suo figlio. (arditamente)
Giulia. Come! (alzandosi) Così parlate? Nutrite in seno tai sentimenti? Le vostre massime sono indegne del vostro sangue, e se la povertà dello stato non pregiudica la condizione, il mal talento fa torto alla nascita, e deturpa la nobiltà. Noi non ci regoliamo colle leggi della natura soltanto, ma con quelle della civil società, e chi tenta usurpare ad un padre l’autorità, il diritto e la convenienza, è reo in faccia del cielo e nel concetto del mondo. Una giovane costumata dee domandare al cielo la sua fortuna, e non valersi de’ mezzi illeciti per usurparla. Se a voi convenisse un tal matrimonio, non vi affatichereste per occultarlo. Le cose che si nascondono, non possono essere che maliziose, e chi si procaccia un bene per via indiretta, non perde mai il rossore di averselo con ingiustizia acquistato. Per due ragioni avete da vergognarvi di un tal progetto; e per l’insulto che procurate ad un padre, e per il torto che promovete a una sposa. Di ciò aspettatevi la ricompensa che meritate. Nessuna colpa andò mai immune