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LA DONNA DI MANEGGIO 233

Lisetta. Vada all’osteria.

Properzio. E la padrona?

Lisetta. Che stia a digiuno.

Properzio. Hai un cuore di bestia.

Lisetta. Ed ella, signore, ha il più bel cuore del mondo. Con sua licenza.

Properzio. Fermati.

Lisetta. La riverisco. (La mia padrona sa quel che fa, ed io la deggio obbedire). (parte)

Properzio. Si è ricattata, come va, la signora. Se si potesse star soli, e far tutto da se, senza mangiapani, la disgrazia non sarebbe sì grande. Ma il punto si è che qualcheduno ci vuole. E da chi ho da farmi servire? Dal cane? Da una parte, donna Giulia ha ragione. Sono stato io un animale. Anderò a ritrovarla; ma fino che ha il sangue caldo, non vo’ arrischiar di far peggio. Sarà meglio ch’io vada in traccia di qualcheduno che venga a servire. Ma chi troverò io? Qualche ladro? Qualche briccone? Il mondo è pieno di tristi, di vagabondi; non si sa di chi potersi fidare. Almeno aveva in casa gente onorata. E perchè privarmene? Mi sta bene, merito peggio. Ma donna Giulia non doveva licenziare Lisetta. Una moglie non si ha da vendicar col marito. Sono io il padrone, comando. Sì, comando, comando, e non c’è nessun che mi serva. (parte)

SCENA X.

Gabinetto con finestra e sedie.

Donna Giulia sola alla finestra.

S), sì, Lisetta, ho capito. Ti sei portata benissimo, vattene, e non temere che la mia protezione ti manchi. Quando ti vorrò, ti farò da qualcheduno avvisare. Addio. (si ritira dalla finestra) Ho piacere che sia riuscita sensibile a don Properzio la mia bizzarra risoluzione. Questo non è che un principio de’ miei studiati risentimenti, e se mi riesce, vo’ senza strepito illuminarlo. Avrà