Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1914, XVIII.djvu/242

230 ATTO SECONDO

Properzio. Oh! che dice mai? Davvero si vede che non ha la mano a piegar le lettere. È avvezza col segretario. Vuole che faccia io?

Giulia. Via, mi farà piacere. (si alza)

Properzio. Lo farò volentieri. Osservi, non faccio per dire, ma la piegatura non va bene. (apre la lettera) Non creda già ch’io abbia intenzione di leggere.

Giulia. Oh! son persuasissima. Son certa che non ha veruna curiosità, che supporrà la mia lettera indifferente, e che si compiacerà, senza leggerla, di piegarla, di sigillarla, di farle la soprascritta.

Properzio. A chi è diretta?

Giulia. A don Sigismondo, padre di don Alessandro degli Alessandri. Lo conosce?

Properzio. Lo conosco benissimo. È il padre di quel civilissimo cavaliere, che per rispetto s’inginocchia a’ piè delle dame.

Giulia. Appunto quello.

Properzio. Sarà servita. (procurando di leggere furtivamente)

Giulia. Se mi permette, vado per un picciolo affare, e poi torno.

Properzio. S’accomodi.

Giulia. Intanto avrà la bontà di chiudere e sigillare.

Properzio. Senz’altro.

Giulia. Se vuol leggere, legga; ma non vi è bisogno.

Properzio. Oh! non perdo il tempo sì inutilmente.

Giulia. Con sua licenza.

Properzio. Vada pure.

Giulia. (Legga pure il curioso, s’illumini l’indiscreto, e si prepari a pagarmi caro l’insulto). (parte)

SCENA VIII.

Don Properzio solo.

Sciocca! Si persuade ch’io non voglia leggere? Non vorrei che mi stesse a vedere. (osserva intorno) Ma potrebbe anche essere una lettera fatta con malizia, perchè io credessi una cosa per