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LA DONNA DI MANEGGIO | 229 |
Fabrizio. Mi vergognerei a giustificarmi.
Properzio. Io non ci penso che vi giustifichiate; mi basta che ve n’andiate.
Fabrizio. I nostri conti, signore.
Properzio. Per questo non preme. Io non intacco la vostra pontualità.
Fabrizio. Son creditore di cinque mesi.
Properzio. Non so niente. A me non avete servito sei volte l’anno. Se mi seccherete, non vi farò il benservito.
Fabrizio. Me lo faccia, o non me lo faccia, son conosciuto. Mi paghi, o non mi paghi, sarò lo stesso. Faccio il mio dovere colla signora, e gli levo l’incomodo immediatamente.
Properzio. La signora non ha bisogno di complimenti.
Giulia. Andate, Fabrizio, vi dispenso da qualunque uffizio.
Fabrizio. (Povera sfortunata!) Servidore umilissimo. (a don Properzio)
Properzio. La riverisco. (o Fabrizio)
Fabrizio. (Mi piange il cuore a lasciare una padrona di tanto merito e di tanta bontà). (parte)
SCENA VII.
Donna Giulia e don Properzio.
Properzio. Signora, compatisca se l’ho privata del segretario.
Giulia. Tutto quello ch’ella fa, è ben fatto. (scrivendo)
Properzio. Se ha bisogno di scrivere, la servirò io.
Giulia. Obbligatissima. So far da me, quando occorre.
Properzio. Non vorrà che io sia a parte de’ suoi segreti?
Giulia. Io non ho segreti, signore. (piega la lettera)
Properzio. Ha una gran premura di piegar quella lettera. Ha timor ch’io la vegga?
Giulia. No, signore, se comanda, si serva. (gliela presenta)
Properzio. Oh! io non sono curioso.
Giulia. Crederei che di una dama, qual io mi sono, non gli dovessero venire in capo sinistri sospetti. (seguita a piegar la lettera)