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218 ATTO PRIMO


che mi credo in debito di manifestare la mia avversione, anzichè armar di lusinghe la verità, e preparare il martirio a due vittime sagrificate all’idolo dell’interesse o dell’ambizione.

Giulia. Tutti questi saggi riflessi sarebbono stati opportuni prima di promettere.

Alessandro. Perdonatemi, vi chiedo scusa. Ditemi per grazia, per gentilezza, chi parlò, chi stabilì, chi ha promesso?

Giulia. Per voi lo fece chi per voi potea farlo. La parola è di vostro padre.

Alessandro. Ah viva il cielo! Chi ha parlato, risponda; e chi ha promesso, mantenga.

Giulia. Sì, manterrà vostro padre quel che ha promesso, e voi sarete sposo di donna Aspasia.

Alessandro. Venero i sensi vostri qualunque sieno. Profondamente all’autorità vostra m’inchino: una sola cosa vi dico, se mi concedete di dirla.

Giulia. Parlate pure.

Alessandro. Non isposerò donna Aspasia.

Giulia. No?

Alessandro. Con tutto l’ossequio, vi replico umilissimamente di no.

Giulia. Ed io vi dico ossequiosamente di sì.

Alessandro. Deh, per tutti i numi del cielo...

Giulia. Qual motivo potreste addurre, per esimervi con decoro da un tale impegno?

Alessandro. Molti potrei annoverarne. Ve ne dirò uno solo.

Giulia. Ditelo, e se sarà ragionevole...

Alessandro. Sentite, se la ragione è fortissima.

Giulia. E qual è?

Alessandro. L’antipatia del mio cuore col cuore di donna Aspasia.

Giulia. Eppure, quando giungeste in Napoli, diceste che vi piaceva, e ne parlaste con dell’amore.

Alessandro. Madama, Sapientis est mutare consilium.

Giulia. Di grazia, signor sapiente, sarebbe mai derivata la mutazione del vostro consiglio dalle lusinghe di qualche amante novella?