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LA DONNA DI MANEGGIO 217

Giulia. Non molto bene. Ho avuto delle inquietudini.

Alessandro. Oimè! voi mi avete mortalmente ferito. Le vostre inquietudini mi piombano sul cuore.

Giulia. In fatti, se fossero le vostre espressioni sincere, sarebbe giusto il vostro rammarico, sapendo esser voi stesso la cagion che m’inquieta.

Alessandro. Oh cieli! Sarà egli possibile, che le avverse stelle mi rendano sì sfortunato, ch’io giunga a turbar la pace di quell’anima peregrina, ch’io venero, e stimo, ed onoro?

Giulia. Signore, io vorrei meno venerazione; ma un poco più di zelo per il mio carattere e per il vostro onore.

Alessandro. Spargerei il mio sangue per la delicatezza dell’onor vostro e dell’onor mio.

Giulia. Siete voi disposto a rendermi quella giustizia che vi domando?

Alessandro. Il dubitarne è un insulto; il temerne è un oltraggio.

Giulia. Preparatevi dunque alle nozze di donna Aspasia.

Alessandro. Questo è un fulmine che mi atterrisce.

Giulia. Un cavalier d’onore non dee mancare alla sua parola.

Alessandro. Le regole della cavalleria mi son note; ma note mi sono ancor le appendici.

Giulia. Tutte le appendici in materia d’onore non fanno che accrescere i doveri del cavaliere.

Alessandro. Dirò meglio. So le regole e le eccettuazioni.

Giulia. Non si dà eccettuazione in una materia sì delicata.

Alessandro. Ah! madama, nel caso mio la ritrovo.

Giulia. Come potete voi distruggere la massima generale di dover mantener la parola?

Alessandro. Con un’altra massima generale, che la combatte e la annichila.

Giulia. E qual è questa massima?

Alessandro. Che in materia d’amore non siamo padroni di noi medesimi. Che il cuore è libero nell’amare. Che il vincolo degli sponsali non può distruggere l’antipatia dell’oggetto. Che non è azione onorata il sagrificare una sfortunata fanciulla; e