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LA DONNA DI MANEGGIO 215

Giulia. Anzi giustissima, s’egli ha da essere il vostro sposo.

Aspasia. E che cosa direste, s’io non l’amassi?

Giulia. Che fareste male.

Aspasia. E se non potessi amarlo?

Giulia. Vi compatirei.

Aspasia. E se non lo volessi amare?

Giulia. Ma, cara donna Aspasia, l’amate, o non l’amate?

Aspasia. Voi mi fate ridere. Che interrogazione curiosa!

Giulia. Io non vi capisco.

Aspasia. Non so che farvi.

Giulia. Bramate ch’io solleciti queste nozze?

Aspasia. Io vi lascio in pienissima libertà.

Giulia. In libertà di scioglierle, se occorresse?

Aspasia. Voi dite cose questa mattina, che mi fanno maravigliare. (si alza)

Giulia. E voi rispondete in un modo, che non si può capire, (si alza)

Aspasia. Parlo pure italiano.

Giulia. Il vostro italiano è più oscuro dell’arabo.

Aspasia. Eh! via, donna Giulia, non mi fate arrabbiare per carità.

Giulia. Pagherei moltissimo a non essermi impicciata in un tal affare.

Aspasia. Mi dispiace del vostro incomodo; ma ci siete, e per punto d’onore dovete starvi.

Giulia. Concludiamo dunque.

Aspasia. Concludiamo.

Giulia. Volete ch’io mandi a chiamare don Alessandro?

Aspasia. Mandate pure.

Giulia. Sentiremo in che disposizione si trova.

Aspasia. Sì, sentiremo.

Giulia. (Voglio uscirne. O che si sciolgano, o che si concluda). Chi è di là?

Servitore. Comandi.

Giulia. Va a ricercare don Alessandro, e digli...

Servitore. Perdoni. Ho veduto ora dalla finestra, ch’ei viene qui.

Giulia. Benissimo, subito ch’egli arriva, fa che passi senz’altra imbasciata.