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LA DONNA DI MANEGGIO | 213 |
SCENA IX.
Donna Giulia, poi donna Aspasia.
Giulia. Spiacemi ora l’impegno in cui mi ha posto don Alessandro, e non vorrei che donna Aspasia penetrasse il di lui cambiamento.
Aspasia. Serva, donna Giulia.
Giulia. Serva umilissima, donna Aspasia. Accomodatevi.
Aspasia. Quant’è che non avete veduto don Alessandro?
Giulia. È stato da me ieri sera.
Aspasia. Me ne rallegro infinitamente.
Giulia. (Dubito che qualche cosa ella sappia). Ieri c’è stato da voi?
Aspasia. Ieri no.
Giulia. E l’altrieri?
Aspasia. Mi pare di no.
Giulia. Quant’è che non viene da voi?
Aspasia. Non me ne ricordo.
Giulia. Non ve ne ricordate? Dev’esser molto dunque.
Aspasia. No, non è molto.
Giulia. Spiacemi ch’egli vi scarseggi le visite.
Aspasia. Oh! a me non dispiace niente.
Giulia. Non vi preme di veder sovente lo sposo?
Aspasia. Considero che l’avrò da vedere anche troppo.
Giulia. (Se non si curasse di lui, sarebbe facile lo scioglimento). In fatti la libertà è la migliore cosa del mondo1. È vero qualche soggezione l’abbiamo sempre d’avere; ma la peggio di tutte è quella del matrimonio.
Aspasia. Non so davvero. Ne soffro tanta in casa degli zii dove sono, che più non ne potrei avere.
Giulia. Desiderate dunque di essere maritata?
Aspasia. Che interrogazione ridicola! Non ho io forse da maritarmi? Non deve essere don Alessandro il mio sposo? Non è qui venuto per questo?
- ↑ Pare che dovessero seguire nel manoscritto alcune parole di Aspasia, poichè l’ed. Pasquali attribuisce per errore ad Aspasia le parole che qui seguono.