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206 | ATTO PRIMO |
Fabrizio. (Io gli darei un dunque nel grugno).
Properzio. Compatisca, signora donna Giulia, compatisca veh. Non pensi che io le voglia perdere il rispetto. Conosce il mio temperamento. Ho tutta la stima. Ho tutta la venerazione per lei.
Giulia. Sì, signore, sono molto ben persuasa delle di lei finezze.
Properzio. A chi possiamo noi scrivere per ritrovar questo camenere?
Giulia. Eccolo. Se ne vuole uno, è qui pronto. (accenna Orazio)
Orazio. (Fa una profonda riverenza.)
Properzio. E chi è costui? (a donna Giulia)
Giulia. È uno che mi viene raccomandato dal conte de’ Trappani.
Properzio. A qual fine le viene raccomandato?
Giulia. Acciò gli trovi impiego per cameriere.
Properzio. Per cameriere? Sente ch’io ho di bisogno di cameriere, e mi lascia dire, e non si cura di presentarmelo, e in luogo di preferir me ad ogni altro, fa la protettrice del ladro, e mi favorisce col dunque? (alterato)
Giulia. Signor don Properzio, si ricordi che ho l’onore di essere sua consorte; ma che sono anch’io nata dama, e che ho il mio caldo al pari di lei, e che non m’impegno di soffrir sempre il di lei difficile temperamento. (con caldo)
Properzio. Sentiamo, se si contenta, le abilità di questo suo raccomandato.
Giulia. Si serva pure. Lo conduca seco e lo interroghi.
Properzio. Vuol ch’io stia in sala?
Giulia. Non può andare nelle sue camere?
Properzio. Non conduco nelle mie camere chi non conosco.
Giulia. Ma io ho da terminar una lettera che mi preme.
Properzio. Faccia pure. Venite qui, galantuomo. (ad Orazio)
Giulia. Vuol restar qui?
Properzio. Se si contenta.
Giulia. E se non ne fossi contenta?
Properzio. Ci starei tant’e tanto, per insegnarle che il marito è padron di star dove vuole; e la signora, sia detto con ogni buona riserva, non ha da dire ch’io me ne vada.
Fabrizio. (Ma che maniera obbligante!)