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204 ATTO PRIMO

SCENA IV.

Don Properzio e detti.

Properzio. Servitore umilissimo, signora donna Giulia.

Giulia. Serva, signor consorte.

Properzio. Impedisco?

Giulia. Oh niente.

Properzio. Si può venire?

Giulia. Padrone.

Properzio. Scrive troppo, signora.

Giulia. Non crederei che il mio scrivere le dovesse dar dispiacere.

Properzio. La troppa applicazione può pregiudicar la salute.

Giulia. Io sto benissimo, grazie al cielo.

Properzio. E poi troppo tempo consuma nella segretaria.

Giulia. Non sarebbe peggio impiegato il tempo alla tavoletta, al giuoco, al passeggio?

Properzio. Ho pagato ora la lista delle lettere del mese scorso.

Giulia. Benissimo.

Properzio. Sei scudi, quattro paoli e sette baiocchi.

Giulia. Non mi pare sia tale spesa da rovinar la famiglia.

Properzio. Io non dico che la spesa sia molto grande. Ma per non imbrogliar i miei conti, potrebbe ella, signora donna Giulia, aver la bontà di pagar le lettere colla sua mesata.

Giulia. Ben volentieri: quando a lei sia d’incomodo, supplirò del mio senza alcuna difficoltà.

Properzio. Questi sei scudi, quattro paoli e sette baiocchi vuol ella pagarli, o vuole che li paghi io?

Giulia. Faccia come le piace.

Properzio. Senza che s’incomodi, li posso mettere alla di lei partita.

Fabrizio. (Che sordidezza!)

Giulia. Tiene scrittura doppia per la mia mesata?

Properzio. Eh! un picciolo conterello.

Giulia. Faccia pur come vuole. Basta che nelle mie camere si compiaccia di lasciarmi la mia libertà.

Properzio. È troppo giusto; non ho niente che dire.