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teatrali «che han per tema lo svolgimento d’un fatto ben determinato» e «la comicità generale» n’è «il pregio maggiore» scorge — molto più in alto della nostra — quel Ventaglio che quale commedia d’intreccio è il capolavoro dei capolavori. Alla fine analisi del Momigliano difetti non isfuggono [velleità d'eleganza nella lingua, pesantezza di qualche prolissa parlata] (Il mondo poetico del G., L’Italia moderna, 15 marzo 1907, pagg. 487. 489, 490; La comicità e l’ilarità del G., Giorn. stor. di lett. ital., vol. LXl [1913], p. 225). Ma più di tali difetti, non peculiari al Curioso accidente, notiamo la troppo fragile artifiziosità dell’intreccio. Se uno solo de’ personaggi, abbandonando la circospezione comandata dall’autore, non già dalla naturalezza del discorso, al nome generico (fanciulla, padre, zia ecc.) sostituisce il proprio, l’imbroglio si sfascia come un castello di carte da gioco. E Filiberto, come l’autore lo presenta, è proprio il babbo che a un pregiudizio di casta è pronto a sacrificare la felicità dell’unica sua figliola? Ma scrupoli e interrogativi di tal fatta nascono soltanto nella mente del critico pedante che a tavolino ripensa e vaglia la materia, non già nello spettatore rapito dall’inesausta festività goldoniana in un mondo di serena purissima ilarità.

E concorde quasi tutta la critica nel definire il Curioso accidente commedia d’intreccio (cfr. anche Caprin C. G., la sua vita, le sue opere, Milano. 1907, p. 292; Dejob, Les femmes dans la comédie ecc., Paris, 1899, p. 84). Un così esclusivo giudizio non diminuisce troppo la figura di Filiberto, carattere vero e proprio, la cui esuberante comicità non deriva solo da gioco di situazioni ma molto dalla contraddizione tra la sua natura e la sua presunzione? Noi per parte nostra riteniamo con lo Schmidbauer che questo Curioso accidente affacciatosi alla mente del poeta quale commedia d’intreccio si sia trasformato in parte, in commedia di carattere. Processo inverso, si sa, fece il Bugiardo (Schmidbauer, Das Komische bei G., München, 1906, p. 21) Ammiratore fervido si mostra il Nocchi, del quale più d’una critica stravagante registrano queste Note. Accoglie egli la commedia nella sua Scelta e agli scrupoli che la morale non lievemente bistrattata dal soggetto poteva insinuare risponde: «La reità d’un atto può essere attenuata in modo da lasciar campo alla piacevolezza comica, se sia compiuto nella sbadataggine del lasciarsi andare a disposizioni di carattere lievemente viziose e ridicole». Ragione speciosa che può giustificare al più Filiberto: non già scuscire il contegno del giovane o, meno ancora, quello di Giannina. Erra il Nocchi nel ritenere caratteri identici padre e figliola. Se impulsivo il genitore, la ragazza sa bene ciò che vuole e fa. Non così il tenente. Al Guerzoni Cotterie e Giannina «paiono veramente innamorati: lui però più di lei» e la correzione giunge opportuna. La fanciulla vuol certo bene al suo ufficiale, ma in lei è sempre guida al cuore la mente (Il teatro italiano nel secolo XVIII, Mil., 1876, p. 219 Preoccupazioni moralistiche inducono anche altri ammiratori a difendere la commedia, come lo stesso autore fa per entro alla stessa e nei luoghi ove ne parla. Ne definisce l’imbroglio Domenico Oliva «uno scherzo di pessimo genere, ma che, adornato da una finezza comica superiore, diverte immensamente, ed è approvato quasi fosse la cosa più naturale e più ragionevole di questo mondo»; e continua: «Come da un niente il Maestro abbia cavato tre atti che sono un prodigio di festività e di spirito, io non starò a dire. Ne penso che certe meraviglie si