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140 | ATTO PRIMO |
tanarvene pare a voi un rimedio ed una disperazione. Portereste con voi da per tutto la spina nel cuore, e se volete guarir davvero, è necessario che quella mano che ve l’ha fatta, ve la ritragga.
Cotterie. Signore, un simile ragionamento mi giugne nuovo.
Filiberto. Non fate meco le viste di non intendere. Parlate ora con un amico che vi ama, e che è interessato pel vostro bene, come lo sarebbe per un figliuolo. Considerate, che dalla vostra simulazione può dipendere l’abbandono della vostra salute. Oltre l’amore, che ha in me suscitato per voi la cognizione del vostro merito, e l’uso d’avervi meco per vari mesi, mi si aggiugne la dispiacenza, che in casa mia originata siasi l’infermità del vostro cuore, e tutto ciò ardentemente m’impegna e mi sollecita a risanarvi.
Cotterie. Caro amico, e donde avete voi rilevata la fonte delle mie afflizioni?
Filiberto. Volete ch’io vi dica la verità? Me ne ha assicurato mia figlia.
Cotterie. Oh cieli! ella stessa ha avuto cuore di dirlo?
Filiberto. Sì, certo. Si è fatta un poco pregare, poi me l’ha detto.
Cotterie. Deh, per quell’amore di cui vi compiacete degnarmi, compatite la mia passione.
Filiberto. Vi compatisco. Conosco al pari di voi l’umana fralezza e le violenze d’amore.
Cotterie. So ch’io non doveva alimentar questo fuoco, senza parteciparlo alla vostra cara amicizia.
Filiberto. Di ciò appunto unicamente mi lagno. Non avete usata meco quella leal confidenza, che mi credeva di meritare.
Cotterie. Mi è mancato il coraggio.
Filiberto. O via, lode al cielo, siamo ancora in tempo. So che la fanciulla vi ama; me lo ha confessato ella stessa.
Cotterie. E che dite voi, signore?
Filiberto. Io dico, che un tal maritaggio non mi dispiace.
Cotterie. Voi mi consolate all’estremo.