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UN CURIOSO ACCIDENTE | 131 |
filosofo. Credo la di lui malattia più dello spirito, che del corpo, e per parlarvi ancora più chiaramente, io lo giudico innamorato.
Giannina. Può essere che la cosa sia come dite. Ma penso poi che se fosse qui innamorato, non cercherebbe d’allontanarsi.
Filiberto. Oh! anche sopra di ciò la filosofia somministra delle ragioni. Se mai per avventura quella che lo ha innamorato fosse ricca, dipendesse dal padre, e non potesse accordargli alcuna buona speranza, non sarebbe fuor di proposito, che la disperazione lo consigliasse a partire.
Giannina. (Pare che egli sappia ogni cosa).
Filiberto. E il tremor nelle gambe sopravvenutogli poco prima della partenza, dico io filosoficamente pensando, non potria derivare dal combattimento delle due contrarie passioni?
Giannina. (Starei quasi per maledire la filosofia).
Filiberto. Fin qui m’interessa la benevolenza ch’io gli professo, l’ospitalità a cui sono di buon cuore inclinato, e l’umanità istessa che mi fa sollecito per il bene del prossimo; ma non vorrei che nella di lui malattia vi fosse frammischiata quella di mia figliuola.
Giannina. Oh! sì, che or mi fate rider davvero. Pare a voi ch’io sia smunta, pallida, lagrimante? Che dice la vostra filosofia sui segni estemi del mio volto e della mia ilarità?
Filiberto. Mi tiene fra due giudizi sospeso. O che abbiate avuta la virtù di resistere, o che abbiate quella di saper fingere.
Giannina. Signore, avete mai potuto comprendere ch’io sia mendace?
Filiberto. No, non l’ho mai compreso, e per questo ne dubito.
Giannina. Che abbiate fissato dentro di voi medesimo, che l’uffiziale sia innamorato, cammina bene, e può darsi; ma io non sono l’unica, sopra di cui possa cadere il sospetto delle sue fiamme.
Filiberto. Siccome il signor tenente esce tanto poco di casa, è ragionevole sospettare che qui sia nato il suo male.
Giannina. Vi sono delle bellezze forestiere, che vengono qui da noi, e che potrebbono averlo acceso.