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Chi non ravvisa fino da bel principio in sior Lunardo un uomo attaccato alla famiglia, ma rude, testardo, formidabile tiranno della casa, adeso al passato come ostrica allo scoglio?
Una volta all’anno spassarsela, sì: ma «a casa soa, senza strepiti, senza sussuri» egli pensa; tutt’al più in compagnia di due o tre galantuomini, ben s’intende, dello stesso stampo e di scorza ruvida come la sua. Di cotesti, ne ha anzi per quel giorno invitati a pranzo tre: sior Canzian Tartuffola, sior Maurizio dalle Stroppe e sior Simon Maroele, nomi e soprannomi atti a destar subito l’ilarità e non scelti a caso, che nel fabbricare i nomi de’ suoi personaggi, fu il nostro commediografo ingegnosissimo al par di Manzoni con quelli dei Promessi Sposi (Così, e drittamente, il prof. Federico Pellegrini in C. G. ed Aless. Manzoni. Ne l’Ateneo Veneto, genn. - febbr. 1907).
«Cospeto de diana» (non può tenersi dall’osservargli la moglie) «Tre cai su la giusta! I avè ben trovai fora dal mazzo.
Lun. Cossa vorressi dir? no i xe tre omeni cossedie?
Marg. Sior sì, tre salvadeghi come vu».
A buon conto quella loro rispettiva figliola e figliastra è tempo d’accasarla; e sior Lunardo vi ha già riflettuto accordandosi con sior Maurizio d’unirla a Filippetto, figliuolo di costui; però col patto che lo sposo vedrà la sposa soltanto al momento delle nozze.
La scena (V dell’atto I) tra i due sordidi vecchi che discorrono di questa intesa, della dote, del corredo della sposa ridotto ai minimi termini, delle rispettive economie fino all’osso, è comicissima; ma troppo ci vorrebbe a mettere in mostra tutte le bellezze della commedia!
Fatto sta che Filippetto, cui il padre partecipò poco prima lo stabilito connubio, si rode invece, ben naturale, di conoscere prima la fanciulla; e se ne apre con Marina sua zia, e moglie dell’altro rustego, sior Simon:
«Mar. L’aveu vista la puta?
Fil. Siora no.
Mar. Avanti de serar el contrato, i ve la farà veder.
Fil. Mi ho paura de no.
Mar. E se no la ve piase?
Fil. Se no la me piase, mi no la togo perdiana.
Mar. Sarave megio che la vedessi avanti.
Fil. Come vorla che fazza?
Mar. Diseghelo a vostro sior pare.
Fil. Ghe l’ho dito, el m’a da sulla ose».
Troverà il modo di spuntarla siora Felice, una femmina di spirito, assai galante e altrettanto spedita di lingua. Ella, al contrario delle altre donne, anche troppo sommesse alle rispettive metà, fa il proprio comodo, voglia o non voglia il marito Canzian, selvaticone di poca fibra. Tra altro, si lascia volentieri corteggiare dal conte Riccardo, cavaliere servente d’occasione, recatosi a Venezia per divertirsi durante il carnevale, l’unico personaggio (stonatura fatta ad arte, osserva a ragione il Masi op. cit.) che parli in italiano. In compagnia di costui e del marito essa è venuta in buon punto a visitare la Marina, che trepidando capiti da un momento all’altro sior Simon, non vuole che il conte le sieda vicino. Siora Felice non ha di questi timori, e