Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1914, XIX.djvu/97


89

la Bresciani potè annunciare al pubblico (v.: Gazzella Veneta del 7 ottobre 1761):

          Tre Commedie ha formate un sol pensiero.
          Di cui presti ad espor la prima siamo.
          Vien l’argomento da lontan sentiero,
          Ma qualch’esempio fra di noi veggiamo
          Di smanie, che più d’uno a delirare
          Guidano, pel desio di villeggiare.
               Smanie per noi funeste e perniziose.
          Solite a spopolar mezzo il paese.
          Per cui recite abbiam calamitose
          E siam costretti a tollerarle un mese...

Non crede Marietta Ortiz che un sol pensiero abbia formato le tre Commedie. La prima le sembra concepita indipendentemente dalle altre (Commedie esotiche del G., Rivista Teatrale italiana, Napoli, 1905, pag. 51 [Estr.]). E solo la sempre vigile prudenza goldoniana, s’è visto, fa derivare l’argomento da lontan sentiero. Alle smanie Venezia non forniva soltanto qualch’esempio ma era «principalmente» là che «queste smanie, queste avventure e questi rimpianti offrivano soggetto degno di commedia» (Memorie, P. II, cap. XXVI). Il Targioni-Tozzetti mostrò con minute analisi quali strette affinità corrano tra le Smanie e ì Malcontenti, commedia nella massima parte della sua favola pervasa tutta da invidie e gelosie femminili per uomini e cose, da lotte con creditori impazienti e dalle improntitudini di esosi scrocconi. Anche gl’interlocutori si corrispondono quasi tutti: Giacinta (Felicita), Vittoria (Leonide), Leonardo (Ridolfo), Ferdinando (Roccolino), Brigida (Grilletta), Paolo (Cricca) (ed. Rasi, pp. LXI-LXXVI). Ma questa volta, pur a traverso cento difficoltà, s’arriva finalmente alla meta agognata. Soluzione onde han poi vita le Avventure e il Ritorno.

Trama più sottile che in queste Smanie non si da. Si va o non si va in campagna? Nient’altro. Trama sì tenue che al terz’atto il ripetersi di sempre uguali contrattempi stanca gli spettatori — osserva giustamente un critico dei nostri giorni (G. Damerini nella Gazz. di Venezia, 15 genn. 1907) — e anche nel dialogo è meno venustà e freschezza che ne’ due primi. Non commedia d’intreccio, ma di costume, e nelle parti sue più felici commedia di carattere. Non bastano a ciò le figure di Giacinta e Filippo? Tutti lodano e citano la grande scena tra le due amiche. Primo l’autore. «La scene est plaisante; e est un tableau d’après nature de la jalousie des femmes, et de la haine deguisèe» (Memorie, ed. Mazzoni, voi. II, p. 56). Ma in nulla inferiore per genuina comicità appare l’altra, che la precede, tra babbo e figliola. Come a traverso cristallo purissimo si delineano e spiccano nel dialogo due nature: la fiacchezza di Filippo, composta tutta di bontà prima per la figlia e un po’ per tutto il mondo — e l’energia della furba Giacinta che fa fare il babbo a modo suo pur sotto apparenza d’ubbidirgli. Carattere reso forte dal più sereno egoismo. Al suo affetto per Leonardo poco crede Brigida, e meno il pubblico. Ma queste ragazze goldoniane, tranne rare eccezioni, son tutte così: Giacinta, Vittoria («non veggo l’ora di maritarmi; niente per altro, che per poter fare a mio modo»), e innumeri compagne. Anche così le preferiamo agli uomini quando, come Leonardo, sien mossi solo dalla vanità e dall’interesse. Il valore della